Marcel Vulpis è stato intervistato in esclusiva da TorinoGranata.it. Vulpis è il vicepresidente vicario della Lega Pro e con lui abbiamo parlato delle seconde squadre.
Il presidente del Torino Urbano Cairo ha detto che sta pensando alla seconda squadra, finora però in Italia solo la Juventus ne ha una, che da regolamento disputa il campionato di Lega Pro, come mai?
“Ho letto quello che ha detto il presidente del Torino Cairo. Sostanzialmente ha detto che quattro anni fa i suoi collaboratori gli sconsigliarono la seconda squadra e che lui seguì questo consiglio, ma che oggi vuole capirne di più. Credo che sia comunque un approccio positivo perché le persone intelligenti sono quelle che poi cambiano idea rispetto a ciò che anni prima pensavano in maniera opposta. Io ho visto in occasione di Feralpisalò-Juventus U23 che più del 90% erano ragazzi molto giovani. La seconda squadra è una vetrina non banale per chi ci gioca, è una grande opportunità per mettersi in mostra e soprattutto trovare spazio nel momento in cui il calcio professionistico, in particolare quello di Serie A, non ne dà tanto ai giovani. Fermo restando che poi se andiamo a vedere l’età media del Milan che la scorsa stagione ha vinto lo scudetto è stata di di 25.9 anni, la più bassa registrata per una squadra campione d'Italia dal 2000 ad oggi. Far giocare i giovani è una questione anche di coraggio e non solo di investimenti o strategia. E’ l’intenzione di cercare di valorizzare i migliori giovani che abbiamo all’interno del nostri vivai perché più li si fa giocare, più fanno esperienza e più crescono di valore e più sono pronti anche per giocare su palcoscenici “più importanti” come possono essere la Serie B e la A”.
Ma coma mai in Italia solo una società di Serie A ha una seconda squadra?
“Credo che ci sia un tema di programmazione, di progettualità, di strategia e d’investimenti. Questi quattro elementi sono quelli che fanno sì che poi si arrivi a dire sì lo faccio. Ed è quello che ha fatto la Juventus. Andrea Agnelli nel convegno “Le seconde squadre in Italia e in Europa, modello per il futuro?” ha appunto detto che fa parte di un investimento e non una beneficenza o una onlus la seconda squadra, ma deve essere costruita per far crescere i giovano del vivaio. D’altro canto avere una seconda piattaforma sportiva calcistica, dove poter mettere in evidenza questi ragazzi, credo sia la soluzione più interessante per alcune squadre, però è chiaro che bisogna avere progettualità, struttura, la dirigenza giusta, la voglia di realizzarlo, il sapere che i risultati non arriveranno in un anno, ma nel medio-lungo periodo. Quindi ci vuole tempo e pazienza. Sono tutti elementi che troviamo nel mondo dello sport e soprattutto del calcio italiano, ma non tutti li hanno. La Juventus sicuramente ha la struttura e la forza anche economica per fare un’operazione di questo tipo che ha un costo e che lo avrebbe per qualsiasi club. Bisogna fare un’attenta analisi costi-benefici e probabilmente un club che un domani dovesse dire sì alla seconda squadra nel tempo andrà a valorizzare una serie di giovani che se non ci fosse la seconda squadra troverebbero molto meno spazio in generale nel calcio professionistico italiano”.
Nel tempo le seconde squadre potranno diventare obbligatorie?
“Ripeto, credo che avere a disposizione e allocare un budget anche importante per costruire il progetto seconde squadre sia sicuramente un obiettivo potenziale per tutte le società, però è anche un investimento che probabilmente oggi non tutte le società di Serie A si possono permettere, quindi si arriverà a poterlo fare nel tempo, magari fra 5-6-7 anni. Penso che al di là del tema dell’eventuale obbligatorietà futura alla base ci debba essere la volontà di volerlo fare. Non è che se si obbliga un soggetto si ottengono risultati migliori rispetto a chi lo ha fatto volontariamente, quindi è un tema di strategia. La Juventus si è posta questa progettualità e strategia a monte e oggi inizia a portare alcuni giovani che arrivavano da quel progetto a giocare in prima squadra. Si dice sempre che il calcio italiano deve ripartire dai giovani, cosa assolutamente vera, e allora facciamoli giocare e troviamo il metodo per farli giocare e valorizzarli. Poi, secondo me, se si vuole far giocare un giovane non si deve per forza costituire una seconda squadra. La seconda squadra è nella logica della progettualità, per cui se un società decide che avendo individuato che alcuni elementi del vivaio hanno determinate caratteristiche per giocare, già o in futuro, in prima squadra può sempre farli giocare, non è che se non arrivano dalla seconda squadra non possono giocare. Dipende molto dal dna delle società. Ce ne sono alcune come il Sassuolo, l’Udinese e l’Atalanta che hanno fatto un sapiente mix fra senior e junior di qualità, sia italiani sia stranieri, e da sempre vanno avanti su questa filosofa d’azione e non solo loro, ma sono i club più visibili sotto questo punto di vista. E’ palese che se questi giovani italiani dovessero trovare spazio nella massima serie poi dopo sono potenziali talenti anche per la Nazionale. Se non facciamo giocare i giovani calciatori italiani dove andiamo a prendere i giocatori per la Nazionale? Ad esempio il ct Roberto Mancini ha convocato il classe 2006 Simone Pafundi dell’Udinese e lo h fatto debuttare nell’amichevole con l’Albania lo scorso 16 novembre e mi aspetto che questo ragazzo adesso torvi con continuità spazio perché se c’è stato il coraggio, nel senso positivo del termine, di farlo debuttare in Nazionale tornato nel campionato di provenienza, la Serie A, mi aspetterei appunto che lo si faccia giocare”.
Le istituzioni del calcio come possono agevolare le seconde squadre?
“Il presidente della Figc Gravina ci crede, come anche altri dirigenti. E’ un passo obbligato, non si può giocare neo calcio professionistico con squadre di ultra trentottenni o quarantenni, chi mette la gamba e chi corre di solito sono i giovani, quindi non ci stiamo inventando nulla. E’ la normalità che ci siano dei giovani talentuosi, questo sì, che arrivano da una selezione importante e i migliori devono andare a giocare, prima o poi, in prima squadra. Bisogna avere fiducia”.
Se oltre alla Juventus ci fossero altre società che istituissero la squadra b, queste seconde squadre continuerebbero a giocare in Lega Pro o l’eventuale arrivo di 7-8 formazioni creerebbe problemi?
“7-8 nuove squadre b ho qualche dubbio che in un anno possano essere create. Ma se fosse un'altra squadra sicuramente potrebbe iscriversi in Lega Pro. L’attuale regolamento prevede che in caso di mancato raggiungimento, contando i tre gironi, del numero totale di 60 club l'ammissione sarà effettuata mediante un bando. In caso di uno o più posti vacanti nei gironi, l'ordine di ammissione sarà: squadra b, club retrocesso dalla Serie C, club partecipante alla Serie D. L’idea del convegno che c’è stato è quella di accendere i riflettori sul tema, discuterne e creare interesse e poi dall’interesse si vede poi concretamente quante società creeranno la squadra b. Negli ultimi due-tre anni prima del campionato Ghirelli (presidente della Lega Pro e vice presidente della Figc, ndr) ha fatto sempre dichiarazioni sulle seconde squadre e ha parlato una volta dell’Atalanta e spesso della Fiorentina e magari un domani parlerà del Torino, poi però l’unica che alla fine si è sempre iscritta è stata la Juventus, ma questo convegno è proprio per dire accediamo i riflettori e se poi dopo se con gli anni si arriverà a tre-quattro squadre b sinceramente non lo so dire. Il modello Juventus presentato da Andrea Agelli nei giorni scorsi dimostra che si può gestire in modo intelligente una seconda squadra, generare valore per i propri calciatori e alcuni di questi poi nel tempo portarli anche in prima squadra a giocare in Serie A e nelle coppe internazionali. La Lega Pro diventa una sorta di palestra continuativa per dare spazio e far giocare i calciatori. Non c’è ombra di dubbio che i calciatori debbano giocare perché se sono tenuti sempre in panchina o in tribuna si ha una potenziale gemma che resta nel terreno senza mai sbocciare o se si vuole un diamante grezzo che non viene trasformato in gioiello. E bisogna arrivare a questo. Al di là che un giocatore sia giovane o meno, se un calciatore è infortunato e rientra dopo uno-due-tre mesi di inattività non è lo stesso giocatore che si aveva prima dell’infortunio perché gli è mancato il giocare. Nel calcio, ma in generale nello sport la continua attività in campo e il continuo allenamento portano al miglioramento delle performance e quindi alla valorizzazione del calciatore, o dell’atleta, stesso”.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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