Che fine ha fatto l'Atalanta? È la domanda che rimbalza da una parte all'altra della Bergamasca, dai tifosi ai cronisti, fino agli addetti ai lavori. L'Atalanta è terza, è vero, ma la classifica oggi rischia di diventare più un'illusione che una certezza: terza sconfitta consecutiva, terza partita senza gol. Numeri che non erano mai stati così crudi in nove anni di gestione Gasperini. Numeri che non appartengono a una squadra che, per larga parte della stagione, aveva accarezzato il sogno più bello.
Ma la questione è proprio questa. Forse ci si è illusi troppo, e troppo presto. Gasperini lo aveva già sottolineato: «Questa è sempre stata la nostra dimensione, lottare fino all'ultimo per un posto in Champions». Giusto, lecito, comprensibile. Ma c'è modo e modo di perdere, e l'Atalanta vista contro la Lazio si è persa da sola in una strana confusione di idee e occasioni sprecate. Ha creato, ha pressato, ha giocato meglio dei biancocelesti, ma alla fine il tabellino resta impietoso. Zero gol, zero punti, tanta amarezza.
Il tecnico parla apertamente di un problema di lucidità negli ultimi metri. E ha ragione, ma non può bastare. Carnesecchi dal canto suo evidenzia la mancanza di quella scintilla necessaria per ritrovare fiducia, definendola senza mezzi termini "fortuna". Ma la fortuna, nel calcio, spesso te la devi conquistare, magari con quella grinta e quell'approccio casalingo che proprio il portiere suggerisce. È evidente che la squadra sia viva, che non abbia perso voglia e determinazione, ma è altrettanto palese che si sia inceppato qualcosa. Qualcosa che va oltre il semplice errore tecnico o tattico.
Un campanello d'allarme? Probabilmente sì. L'Atalanta, oggi, sembra una squadra che si porta dietro i fantasmi di un sogno ormai sfumato. A rincorrere un titolo che non è più possibile, si rischia di perdere lucidità anche per obiettivi ben più concreti e alla portata, come la qualificazione Champions. I numeri, però, dicono anche altro: sono ancora sette le partite da giocare, ventuno punti disponibili. Gasperini ne chiede almeno dodici per blindare il traguardo. Serve dunque una reazione, e deve essere immediata.
Ma prima ancora dei numeri, serve la consapevolezza che questa squadra ha la qualità per uscire da una crisi che, al momento, non si può più negare. È questione di responsabilità collettiva, a partire dai giocatori chiamati a ribaltare il destino delle partite dalla panchina: oggi questo contributo manca clamorosamente. Ecco perché adesso è soprattutto il momento delle scelte, anche coraggiose. Gasperini dovrà trovare nuove idee, nuovi stimoli, e nuove leve, magari con un Maldini finalmente valorizzato o un De Ketelaere finalmente risvegliato.
Il tempo degli alibi, delle giustificazioni o dei dettagli lasciati al caso, oggi non c'è più. È arrivato il tempo delle risposte. Non parole, ma gol e vittorie. Solo così l'Atalanta tornerà a essere quella squadra che abbiamo imparato ad amare.
Perché il dubbio più grande non è dove sia finita l'Atalanta, ma se riuscirà a ritrovarsi in tempo per non vanificare una stagione che, altrimenti, rischierebbe di restare per sempre nel cassetto delle grandi occasioni sprecate.
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