Il mito della frontiera. Il viaggio verso ovest. La corsa all’oro. Questi capisaldi della storia statunitense, rivissuti in grandi pellicole ed entrati a fare parte anche del nostro immaginario, non sono tuttavia una esclusiva tutta a stelle e strisce. A cavallo degli Anni Quaranta, il Brasile viveva la stessa epopea. Getulio Vargas il presidente-padrone ispirò una migrazione simile, “A Marcha para o Oeste” la marcia verso il Centro-Ovest (e poi anche in direzione Nord). Occupare tutto il territorio dell’Interior e abbandonare le sempre più sovrappopolate coste era diventata una chiara necessità di un Paese che cresceva, e non solo demograficamente, a dismisura. Quel mitologico sertão divenne terra da riempire e piano piano costruire. La prima grande città edificata, poi divenuta modello per la capitale Brasilia, era quella di Goiania, oggi capitale del nuovo stato di Goias, territorio dal sottosuolo ricco di minerali e ad alta produzione di cereali.
Il Paese stava rapidamente affiancando la dicitura “Pais do Carneval”, quella nuova di “Pais do Futebol”, e sempre sotto l’Estado Novo di Getulio Vargas si pensò all’organizzazione del Mondiale di calcio, per mostrare al pianeta la grandezza del Brasile, che viveva col mito di diventare superpotenza globale. Poi arrivarono gli uruguagi e la nazionale verdeoro (che proprio dopo quel mondiale cambiò con questi colori la divisa) dovette aspettare il successivo giro.
Terra di calcio, lo è diventata però presto e subito. Anche in Goias, dove il club che prende il nome della città ha prodotto diversi giocatori interessanti.
Quella scritta di fianco a un giocatore me la ricordo bene, perché inserii un talento nella mia top 11 di fine Mondiale under20. Era il 2009, e nella sala stampa dell’International Stadium del Cairo distribuivo a diversi giornalisti di paesi non propriamente calcistici la mia coppia di difensori ideale del torneo: l’uruguagio Coates e, appunto, il brasiliano Rafael Toloi, quello con la parola Goias vicino, nella distinta. L’inviato di Globo Esporte mi raccontò come Rafa era figlio di una nidiata prodotta in casa Goias dalla gestione tecnica di un ex calciatore che aveva attraversato le mie curiosità di bambino: Luvanor, l’ex fantasista del Catania, mai davvero impostosi, né in Italia né ahimè altrove se non nella città del nostro racconto.
Rafael Toloi aveva tutto del difensore moderno, abbinando capacità di lettura a determinazione e forza fisica, tanto che di lì a poco avrebbe indossato la maglia della squadra guida di quel tempo, in Brasile, il San Paolo, con cui vinse da giovane titolare anche una Copa Sudamericana. Lì se ne innamorò Walter Sabatini che lo portò alla Roma. Il grande talent scout ha ricordato recentemente quel periodo: “Rafa fece benissimo il suo lavoro ma giocò molto poco. A fine anno provai a rinnovare il prestito ma il San Paolo voleva solo cederlo a titolo definitivo. Mai sono stato così imbarazzato nei confronti di un giocatore, mi chiedeva in maniera straziante di rimanere a Roma e non ho potuto accontentarlo”.
Sentiva probabilmente che il nostro Paese sarebbe stato quello della sua vita (forse non pensava che avrebbe vinto anche un Europeo con la maglia azzurra, lui che nelle giovanili brasiliane era quotatissimo fin da ragazzino). E così fu, anche se l’incontro principale della sua carriera avvenne più a nord, nella penisola, a Bergamo. Con un tecnico, Gian Piero Gasperini, che lo ha sostanzialmente riportato a vivere il calcio con l’entusiasmo dei primi anni di Goias, dove arrivò tredicenne dal natio stato di Mato Grosso (letteralmente “Bosco Fitto”, altra regione dal sottosuolo floridissimo e vero e proprio granaio del Paese, anche se ultimamente sottoposto a una deforestazione selvaggia).
Un entusiasmo che genera da anni calcio straordinario e ha portato la Dea per la prima volta in testa alla classifica di Serie A, “da sola”, come sottolineavano i social ufficiali del club bergamasco. Di questa squadra, che seppur quest’anno non partecipa alle coppe europee, e forse per questo motivo è ancora più mina vagante in campionato, Toloi è diventato il capitano. Oltre che un interprete sopraffino del credo gasperiniano (lui e De Roon sono i principali evangelisti del gruppo): in questo inizio di campionato si è più volte trovato in area di rigore, partendo dall’aggressione palla. Il sogno dei bergamaschi è più alto dello scudetto che arriverebbe solo con un miracolo:è la speranza di continuare a vivere il calcio nella maniera che ci ha mostrato in questi anni, domenica dopo domenica, battaglia dopo battaglia, con il coraggio dei piccoli che vivono con lo spirito dei grandi. Per uno che è cresciuto in una zona dove per arrivarci era necessario questo coraggio, è quasi naturale oggi vederlo in un campo di calcio attaccare con quella vigoria, spinta sembra da una fede, che è simbolica di questa Atalanta.
Rafael Toloi ha già detto che a fine carriera tornerà, come un vecchio cowboy nel suo west, rientrerà a Goiania. Certamente lo accompagnerà l’affetto di tutta la gente di Bergamo, dove anche senza trofei, che non sono nulla rispetto alle emozioni, si è fatta la Storia. E che continua, ogni volta che scende in campo questa Dea.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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