A Bergamo è arrivato quando aveva solo 13 anni con una valigia carica di sogni e il cuore stretto dalla nostalgia. Inacio Joleson oggi ha 42 anni. Allena la Real Calepina, in serie D, ma anche i piccoli della Nembrese. Quei tempi sembrano lontani, ma quella maglia nerazzurra, che ha rappresentato l’inizio di tutto, resta un punto fermo nella sua memoria, anche se la carriera l’ha portato altrove e dopo anni da professionista e un’esistenza segnata da momenti difficili, oggi guarda il calcio con occhi maturi e consapevoli, senza dimenticare le proprie radici. Nelle sue parole, con cui si racconta in esclusiva a TuttoAtalanta.com, c’è spazio per la nostalgia, ma anche per uno sguardo lucido sull’evoluzione dell’Atalanta, da squadra che lottava per salvarsi a modello europeo, dove il salto di qualità ha reso più difficile il percorso dei giovani del vivaio, ma non ne ha annullato il valore. Un’Atalanta che oggi, con Juric al timone, deve raccogliere un’eredità pesante ma anche confermare un’identità costruita con pazienza, coraggio e visione.
Quando sei arrivato a Bergamo dal Brasile, nel 1997, insieme a tuo fratello Pià, un anno più grande, avevi solo 13 anni. Che ricordi hai di quel periodo alla Casa del Giovane?
«Sono ricordi bellissimi. Ho conosciuto tanti ragazzi di culture diverse e con alcuni sono rimasto in contatto. Erano tempi differenti: non c’erano i cellulari e sentivo i miei genitori in Brasile solo una volta a settimana. Non era facile, ma la presenza di mio fratello è stata fondamentale. Anche se, fatta eccezione per qualche amichevole estiva, non ho mai giocato in prima squadra, l’Atalanta all’inizio della mia carriera è stata tutto. Mi sono sempre trovato bene: c’era grande attenzione per noi ragazzi e cercavano in ogni modo di non farci sentire la mancanza di casa.»
Eri arrivato carico di sogni: se ti guardi indietro pensi di averli realizzati?
«Il sogno di tutti è giocare un giorno in Serie A. Io ho avuto la fortuna di riuscirci con la Reggina, esordendo proprio contro l’Atalanta il 26 agosto 2007 da titolare. Il rammarico è non essere riuscito a restarci. Quando ci arrivi pensi che durerà per sempre, ma non è così: non puoi mai permetterti di abbassare la guardia.»
In quegli anni quello dell’Atalanta era uno dei vivai più promettenti: secondo te è ancora così?
«Sì, assolutamente. La differenza è che il livello della prima squadra si è alzato moltissimo. Allora lottava per salvarsi ed era più facile lanciare un giovane della Primavera. Oggi le pressioni sono enormi, da tifosi e media. Finché le cose vanno bene non ci sono problemi, ma quando arrivano difficoltà diventa più dura reggere. Che tu abbia 18 o 20 anni, in campo devi assumerti le tue responsabilità: non si può giustificare sempre dicendo “è ancora giovane”. Se sbagli, ti prendi la responsabilità a 20 come a 40 anni. Questo è il calcio.»
Juric fa bene a scommettere sul giovane Bernasconi?
«Secondo me sì. È un ottimo giocatore, ma serve coerenza. Se credi in un giovane devi dargli tempo e fiducia. Non basta una partita positiva o un gol per considerarlo pronto, così come non basta una gara negativa per bocciarlo. Il percorso richiede pazienza.»
In Italia si fa fatica a vedere giovani talenti esplodere nei top campionati. All’estero però non è così. Perché?
«All’estero non guardano la carta d’identità, ma solo le capacità. Se sei bravo, giochi. Indipendentemente dall’età.»
A proposito di Atalanta: che idea ti sei fatto della squadra di Juric?
«Juric raccoglie un’eredità pesante dopo Gasperini, che ha rivoluzionato tutto l’ambiente e con la società ha costruito risultati straordinari. Non è facile raccogliere un testimone simile, ma Juric merita tempo e fiducia. Sa bene che avrà gli occhi puntati addosso: la partenza sarà fondamentale per dargli coraggio, ma non è arrivato a Bergamo per caso. Tocca a lui proseguire il percorso tracciato.»
Con un Retegui in meno e un Lookman in bilico…
«È la storia dell’Atalanta: un giocatore esplode, poi va via, e ne arriva un altro pronto a crescere. Certo, sostituire Retegui e Lookman non sarà semplice: parliamo di 15 e 25 gol in una stagione. È normale che chi arriva non avrà subito quei numeri. Per chiunque servono tempo e pazienza, come accadde allo stesso Retegui quando venne dal Genoa. Poi ha segnato a raffica e tutto è cambiato.»
Atalanta-Pisa: tu hai giocato a Pisa in Serie B nella stagione 2008-09 con 27 presenze e 7 gol. Come vedi l’esordio in campionato di domenica?
«Pisa è una piazza fantastica, con un tifo caldissimo, simile a quello bergamasco. Tornano in Serie A dopo 34 anni e l’entusiasmo è enorme. Non sarà un esordio semplice per l’Atalanta: parte favorita, ma nulla è scontato.»
Dopo l'inchiesta sulle scommesse, hai avuto il coraggio di raccontare pubblicamente la tua storia. Oggi alleni i bambini della Nembrese e la Real Calepina in Serie D: parli con loro della tua esperienza?
«Sì, mi confronto soprattutto con i ragazzi più grandi. Vorrei capissero i pericoli di certe scelte. Il passato non si cancella e non voglio cancellarlo: mi serve per non ripetere gli stessi errori. Sono passati più di 15 anni, ma dentro fa ancora male. Non mi riconosco in quello che ho fatto e fatico a capirne il motivo. Però lo racconto sempre subito, sia alle società che ai ragazzi: devono sapere da me. Non ho mai trovato barriere o pregiudizi. Non sono più quella persona, ma non posso negare l’errore.»
Nel tuo futuro ti vedi sempre allenatore?
«Da piccolo mi chiamavano “capitano” per il mio carisma. Mi è sempre piaciuto trasmettere passione, in campo da giocatore come ora da allenatore. Mi auguro che diventi il mio lavoro a tutti gli effetti. Con i bambini la cosa più importante è far crescere la loro autostima: è la parte più gratificante di questo mestiere.»
La visione di Joelson è chiara: fiducia e tempo sono essenziali per far emergere i talenti, ma è altrettanto fondamentale non dimenticare mai la responsabilità personale. Come allenatore, il suo obiettivo è guidare le nuove generazioni non solo verso il successo, ma anche verso una consapevolezza che vada oltre il semplice gioco e la sua esperienza personale diventa un faro per chi, oggi, sta iniziando a percorrere la stessa strada.
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