"Chiesi a mio nonno è solo un sogno? Mio nonno disse sì." Sessantuno anni dopo la vittoria della Coppa Italia, l'Atalanta vince. Stravince. Deborda. Batte il Leverkusen che non aveva mai perso in stagione - ma che potrà rifarsi con la Coppa di Germania - impartendole una dura lezione. Forse con le sue stesse armi, con un tridente garibaldino che ha ricordato quello di Gomez, Ilicic e Zapata. Ecco, lo sloveno è stato inserito nei preconvocati dell'Europeo dopo essere finito anche fuori squadra. Lui di gol, a Valencia, prima del grande blackout mondiale del Covid, ne aveva fatti quattro. Inserendosi probabilmente nella corsa al Pallone d'Oro. Non sapremo mai come sarebbe andata quella volta, con Bergamo che finisce in una tempesta di morti e di ambulanze, come ai tempi del Lazzaretto di Manzoniana memoria. Il quarto di finale con il Paris Saint Germain poteva essere l'apice, il momento più bello di sempre. Peccato però: senza pubblico, perdendo al novantesimo (e passa), senza Ilicic. Una tristezza.
D'altronde Bergamo aveva avuto una gioia, appunto, sessantuno anni fa. Contro il Torino, a Milano, vincendo per 3-1. C'era Domenghini, che poi diventerà Campione d'Europa con Inter e Italia (e vicecampione del Mondo a Messico 1970), che aveva siglato una tripletta. Il problema è che il giorno dopo non c'era molto tempo per esultare. Moriva Papa Giovanni Paolo XXIII, da Sotto il Monte, provincia di Bergamo. Per una città che ha fatto un fioretto alla Madonna - cioè che se non fosse stata bombardata nella Seconda Guerra Mondiale non si sarebbero costruite discoteche - era un lutto collettivo, molto più importante della gioia di alzare una Coppa. D'altro canto vincere un trofeo si può fare, se sei quasi sempre in Serie A. Invece il buio: cinque finali perse in Coppa Italia contro il Napoli, la Fiorentina, la Juventus, la Lazio, un'altra volta la Juventus. Una semifinale di Coppa delle Coppe contro il Malines, da raccontare ai nipotini, con un Comunale traboccante: chi c'era parlava di 40 mila persone, per una squadra di Serie B che vedeva un sogno infranto.
Si poteva legittimamente che l'Atalanta vincesse una volta ogni morte di Papa... Bergamasco. Oggi non è più possibile. Gasperini si è costruito la sua big da allenare, arrivando sempre in posizioni alte se non altissime, giocando Coppe sempre di alto livello (uscendo una volta ai gironi di Champions, mai in Europa League). Ha valorizzato giocatori, ha creato plusvalenze. Con la società è diventato grande, ben oltre quello che osava anche solo pensare. Adesso ha dipinto il suo capolavoro, con Antonio e Luca Percassi, con Stephen Pagliuca, con Tony D'Amico. In un momento buio, due anni fa, sembrava tutto pronto per collassare su stesso. I protagonisti sono loro, oltre ovviamente ai giocatori. Lookman a Dublino sembrava Messi, inarrestabile.
Verrebbe da chiedersi, e ora? Gasperini può allenare chiunque. Il Napoli, certo. Ma perché non il Barcellona? Il Bayern Monaco? È l'allenatore più anziano di sempre ad alzare la Coppa, riportandola in Italia dopo venticinque anni. Dopo il Parma di Malesani. In campo c'erano Crespo e Chiesa, padre. Il calcio italiano sembrava vivere un'epoca infinita di vittorie e bengodi. Stanotte a godere è Bergamo. Perché ad agosto 2010, Percassi disse: “Se nva mia so diente mat”. Dal bergamasco la traduzione non è difficile: se non saliamo divento matto. Nessuno avrebbe pensato in Paradiso.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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