Sei anni senza Mino Favini. Sei anni che sembrano un soffio, tanto forte è la sua presenza nell’aria di Zingonia, nelle mura di quel centro sportivo che lui stesso ha trasformato da luogo qualunque a culla del talento italiano. Sei anni che pesano, ogni volta che si parla di giovani, di calcio pulito, di sacrificio e passione. Perché Mino Favini non era solo un responsabile del settore giovanile: era una guida, un maestro, un punto fermo per generazioni intere di ragazzi che sognavano di diventare calciatori, ma anche per chi, come me, muoveva i primi passi nel giornalismo sportivo.
Favini, il costruttore di campioni
Oggi, nel sesto anniversario della sua scomparsa, il calcio italiano ricorda un uomo capace di creare campioni partendo dalla base, insegnando loro innanzitutto il rispetto, l'umiltà e la dedizione al lavoro. Quando Montolivo commenta con gratitudine il ricordo ufficiale dell’Atalanta, non è solo una testimonianza di affetto, ma la prova tangibile del segno indelebile lasciato dal “Mago di Meda”. In quella scuola straordinaria, Favini ha plasmato talenti come Giampaolo Pazzini, Simone Zaza, Jack Bonaventura, Riccardo Montolivo e tanti altri che sotto la sua ala sono diventati professionisti affermati, uomini prima ancora che giocatori. Oggi, ogni volta che uno di quei ragazzi calca un campo importante, c'è dentro qualcosa di Mino.
Maestro in campo e fuori. Personalmente, custodisco con emozione il ricordo delle prime esperienze vissute a Zingonia, quando ancora scrivevo per il Giornale di Bergamo (oggi nello specifico Bergamo e Sport). Favini era spesso il primo a darmi il benvenuto, una stretta di mano e un sorriso che facevano sentire tutti importanti. Ero lì, a bordo campo, curioso e forse inesperto, intento a catturare scatti e parole per raccontare la magia delle giovanili nerazzurre, dai Giovanissimi di Eugenio Perico agli Allievi dove Simone Zaza impressionava già da giovanissimo per il suo fiuto del gol, fino alla Primavera guidata da Alessio Pala con gente come Bonaventura, Radovanovic e Michele Marconi che affrontavano i vari Balotelli (Inter), Paloschi (Milan).
Spesso orecchiavo i suoi dialoghi con i collaboratori, prendevo nota mentalmente delle sue indicazioni tecniche, del suo modo pacato ma incisivo di spiegare calcio, schemi, approcci mentali ai ragazzi e a chi li seguiva da vicino. Senza saperlo, Favini stava educando anche me, giovane giornalista affamato di conoscenze e storie. Fu lui, inconsapevolmente forse, a insegnarmi che il calcio non è solo tecnica o tattica, ma soprattutto umanità, pazienza, ascolto.
Un'eredità impossibile da dimenticare. Oggi Roberto Samaden prosegue sulla via tracciata da Favini, con un grande rispetto per quella eredità . pesantissima ma preziosa. Non è semplice raccogliere il testimone di un uomo che ha cambiato il modo stesso di concepire il calcio giovanile in Italia, trasformando Zingonia in un modello europeo e mondiale. Ma se Samaden può guardare avanti con fiducia a Bergamo, oltre al suo considerevole curriculum condito da successi nella sua gestione all'Inter, è perché le fondamenta poste da Mino Favini sono solide, eterne, intrise di valori che vanno ben oltre il campo.
Una guida per sempre. Mino Favini è stato e resta per me, come per tanti altri, un punto di riferimento che trascende il semplice ambito calcistico. Ricordo ancora le sue parole, il tono della voce, la calma autorevolezza con cui dava consigli ai suoi ragazzi, ma anche a me, giovane cronista che cercava di raccontare al meglio ciò che lui aveva contribuito a creare.
Sei anni dopo la sua scomparsa, il suo ricordo non si è affievolito, anzi. È più forte che mai, perché è impossibile dimenticare un uomo che ha insegnato non solo a giocare a calcio, ma a viverlo e raccontarlo con passione, sincerità e profonda umanità.
Grazie Mino, maestro di calcio e di vita. La tua lezione non finirà mai, come il ricordo che portiamo dentro ogni volta che si entra nella cantera di Zingonia, ogni volta che vediamo crescere un nuovo talento, ogni volta che semplicemente raccontiamo il gioco più bello del mondo.
Autore: Lorenzo Casalino / Twitter: @lorenzocasalino
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