Quattro settembre, prime ore del mattino. Mats Hummels e il suo palmares si avvicinano al bancone del check-in dell'aeroporto di Monaco di Baviera. E' la prima volta che parte dalla sua Germania da giocatore di club e quando avvicina il passaporto all'assistente di terra, questo recita trentacinque. Professione: calciatore. Club: svincolato. Pochi giorni prima Mario Hermoso da Madrid, tutta la vita in Spagna, aveva fatto lo stesso percorso, gli stessi gesti, con le stesse caratteristiche sul documento. Senza squadra, difensore, a caccia di una nuova ambiziosa e di una nuova vita. Kostas Manolas è stato trattato da parte della Roma, con il placet di Daniele De Rossi. Poi ha frenato, ha smentito, ma i contatti ci sono stati anche se poi hanno portato a un nulla di fatto. Cinque settembre. La Roma ha rifinito la rosa e la difesa cinque giorni dopo la fine del mercato. E questo non dovrebbe mai accadere in un'azienda che investe così tanti milioni, in una strategia che è sembrata più improvvisazione che programmazione.
Il caso Dybala, la rincorsa al difensore, lo scambio col Milan
Senza girarci troppo attorno, la Roma aveva dato l'ok alla cessione di Paulo Dybala e Paulo Dybala aveva dato l'ok al club per trattare i dettagli economici con l'Arabia Saudita. Poi quel che arriva dalla Capitale è che dalla penisola araba le offerte sarebbero state diverse rispetto a quanto atteso e, anche per questioni familiari, anche il giocatore ha deciso di fare dietrofront. Ma al netto del Libro Cuore, la decisione della Roma era chiara: Dybala era stato ceduto. La rincorsa al difensore, la cessione dopo la fine del mercato di Chris Smalling, il balletto di Tiago Djalò, la questione Kevin Danso, tutte clamorosamente all'ultimo giorno di mercato, non sono che un altro capitolo del disastro estivo di programmazione della Roma. E lo scambio con il Milan, con Tammy Abraham senza offerte ufficiali, è una nuova pagina...
Questa non è progettualità. Ma il prodotto...
E dire che Enzo Le Fee a centrocampo, poi la scelta del centravanti, erano un inizio promettente. Tutto sul pichichi della Liga, convinti su Artem Dovbyk per il dopo Romelu Lukaku. Quando comparto tecnico e dirigenziale hanno la stessa strategia, la percentuale per la riuscita del progetto si alza vertiginosamente. Per adesso l'ucraino sta faticando ma deve integrarsi nel gioco e nelle idee di De Rossi. Diamogli tempo. Però Matias Soulè era stato preso per l'eredità di Dybala, Manu Konè è arrivato (che colpo) troppo tardi e con l'impressione di essere riusciti ad chiudere la trattativa solo perché all'improvviso erano cadute altre tessere del domino. Florent Ghisolfi è capace nella scelta dei giocatori e nel riconoscere il talento, Lina Souloukou ha grandissime doti nel management aziendale ma la sensazione è che tra le due componenti manchi ancora un trait d'union che sappia cogliere l'attimo e programmare per tempo. Perché l'impressione complessiva è che la Roma appena nata sia frutto d'improvvisazione, di strategie nate all'ultimo istante, e questo è difficilmente digeribile in un club come quello dei Friedkin che investe e lo farà ancora (con lo stadio, per esempio). Hanno, come detto, entrambi forti capacità specifiche, decisionali, gestionali. Però manca ancora qualcosa al progetto, tempi e modi dell'estate lo confermano, negarlo (anche per loro stessi) sarebbe solo un autogol. Poi è chiaro: non è detto che questo insieme di calciatori non diventi un'ottima squadra. Ma il merito, nel caso, sarà principalmente del manico De Rossi. Che aveva tre richieste caldissime: Federico Chiesa, Davide Frattesi, Raoul Bellanova. Quanti ne sono arrivati?
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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