Ancora una volta ai rigori, ancora una volta con un portiere che balla sulla porta, che indica e che cerca di condizionare l’avversario, come era successo contro il Liverpool, nella coppa Campioni.
La Roma non riesce a portare a casa la coppa, ma porta a casa una valigia piena di orgoglio, di mentalità, di spirito di sacrificio. Vincerla avrebbe significato tanto: avrebbe significato certificare questo percorso, esporre il proprio orgoglio in bacheca. Avrebbe contribuito ad accrescere l’allure di Mourinho che è la prima volta che arriva in finale e non vince. Stavolta nei 120 minuti, anzi molti di più, ha fatto pari, ma non è poi riuscito nella magia finale. I suoi uomini migliori erano fuori perché spompati, i rigori li hanno tirati i tre difensori centrali, più Cristante - quello di cui non si può fare a meno.
Nessuna magia: la Roma si ferma a un passo dal paradiso. Lo vede e non ci entra. La coppa-Siviglia (o Europa League) rimane lì. Lo sapevano tutti, sin dall’inizio che non sarebbe stato semplice. Forse la Roma era la squadra che aveva più chanches di vincere la coppa, ma comunque non partiva da favorita. Questo giusto per inquadrare la situazione: nulla è dovuto.
E fa bene il popolo romanista ad essere orgoglioso della squadra. Questo gruppo (che come ha ripetuto spesso Mourinho) non è abbastanza profondo (numericamente) per poter competere in maniera efficace in tutte le competizioni: qualcosa per strada ti perdi. E la Roma in campionato non ha approfittato (come la Lazio per esempio) della stagione balbettante delle altre grandi. Ma è arrivata fino in fondo in Europa e non è un caso. La Roma veniva, prima di Mourinho, da un percorso estetico ma senza continuità. La Roma di Fonseca era bella, ma non era efficace. Era umorale. Con Mourinho è diventata una corazzata, mentalmente. Ha cambiato passo sotto il profilo della mentalità. Mourinho dal primo giorno è diventato il capopopolo della sua squadra e della tifoseria giallorossa. Le lacrime dei giocatori a fine partita stanno proprio a testimoniare questo grande attaccamento alla causa, alla maglia, al proprio allenatore. Nel cerchio in mezzo al campo di fine partita c’è tutta la Roma di Mourinho.
La Roma è cresciuta e lui è stato sicuramente il booster di questa crescita. Qui non c’entra nulla il gioco o la qualità della manovra. Qui si tratta di fare lo step più importante: quello di entrare nel novero delle squadre di esperienza, di qualità. Mourinho ha dimostrato di essere un vincente, anche nella sconfitta.
La Roma ha perso, ma ha perso solo una partita, peraltro ai rigori. Ma la Roma ha vinto, la Roma è cresciuta, la Roma ha dato tutto, la Roma per la seconda volta è arrivata in una finale europea in maniera consecutiva. La Roma ha scoperto, nella sconfitta, di essere grande. Di essere diventata grande. Quello che chiedeva la proprietà, nel progetto con Mourinho. Quello che voleva Mourinho quando ha accettato la Roma. Tutti pensavano fosse un azzardo, che non potesse funzionare e invece Mourinho ha dato subito la sua impronta. Ora bisognerà capire nei prossimi giorni se questo processo continuerà o meno. Non è questa la sera per farlo. Questa sera bisogna celebrare il suo lavoro, la crescita della squadra. E se ci sarà da salutarsi lo si farà nella consapevolezza che questa semina non può essere lasciata andare. Che darà i suoi frutti anche nei prossimi anni.
La Roma ha perso, ai rigori. Fa male. Perché ci sei andato molto vicino. Ma per quanto ora possa far male, quando perdi così non perdi mai. O anche se perdi non perdi tutto. Perché hai capito di non essere lì solo per fortuna, altrimenti avresti vinto. Perché non ti trovi lì per la prima volta, ma è la seconda consecutiva. Perché hai voglia di tornarci, a partire dalla prossima.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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