Siamo nel cuore delle festività natalizie, un momento che storicamente invita ai bilanci e alle riflessioni, tanto nella vita quanto nel calcio. In casa Atalanta, il brindisi di fine anno non è solo un rito formale, ma l'occasione per analizzare una stagione di grandi transizioni e conferme. Dopo l'epopea gasperiniana e la breve parentesi Juric, la panchina nerazzurra ha trovato in Raffaele Palladino un nuovo condottiero, chiamato a guidare una macchina complessa e ambiziosa. Per fare il punto sullo stato di salute della Dea, tra questioni di campo, assetti societari e un doveroso omaggio alla storia del club, è intervenuto ai microfoni di BergamoTV da Fabrizio Pirola, l'avvocato Cesare Di Cintio. In una lunga chiacchierata, il noto esperto di diritto sportivo ha offerto una disamina lucida e appassionata del mondo atalantino. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com:
Avvocato, partiamo dalla guida tecnica. Dopo le prime giornate sulla panchina atalantina, quale valutazione si sente di dare all'operato di Raffaele Palladino, subentrato in un contesto decisamente delicato?
«Non era affatto semplice prendere in mano questa squadra. Il cambio di guida tecnica non è mai un processo indolore, specialmente quando arrivi dopo un ciclo storico durato nove anni come quello di Gasperini, un tecnico che sta dimostrando tutto il suo valore anche in una piazza complessa come Roma. Sostituirsi a un "comandante" di quel calibro era un compito ingrato, capitato quasi inaspettatamente sulle spalle di Juric prima e di Palladino poi. Credo che l'impatto con un ambiente abituato a certi codici sia stato forte. Tuttavia, vedo in Palladino un approccio intelligente: ha lavorato più sugli uomini che sui giocatori intesi come atleti. Il materiale tecnico era lo stesso, ma lui ha puntato sui rapporti interni allo spogliatoio. Osservando il suo linguaggio del corpo, si nota un legame stretto con la squadra: gli abbracci, la capacità di far sentire importante anche chi gioca meno. È fondamentale per creare un gruppo coeso».
Ha citato Ivan Juric. Col senno di poi, come giudica quella parentesi?
«Personalmente non ero negativo sulla soluzione Juric. Continuo a sostenere che sia un ottimo allenatore, forse capitato nel momento sbagliato, sia per la sua carriera che per la fase storica dell'Atalanta. Ma questo non significa che fosse una scelta errata in partenza; era una scelta logica. Purtroppo, il calcio, esattamente come il diritto, non è una scienza esatta: due più due non fa quasi mai quattro. Palladino, invece, ha avuto l'intelligenza di non copiare il suo predecessore. Copiare Gasperini avrebbe significato proporre una "copia non conforme all'originale". Lui è rimasto se stesso, lavorando sulla comunicazione. Oggi un grande allenatore è colui che riesce a tenere coinvolti i trentacinque giocatori della rosa, non solo l'undici titolare. In questo, la sua empatia sta facendo la differenza».
Durante il tradizionale brindisi natalizio con la stampa, l'Amministratore Delegato Luca Percassi ha parlato di un "futuro certo", ribadendo l'impegno della proprietà. Quanto pesa avere una dirigenza così solida in un calcio italiano spesso instabile?
«Chi oggi si lamenta dell'Atalanta forse non ha ancora compreso appieno la fortuna che ha la nostra città. Abbiamo una proprietà stabile, credibile a tutti i livelli: economico, finanziario, imprenditoriale e politico-sportivo. Il successo della squadra è dovuto essenzialmente a chi la governa. Avere capitali non significa automaticamente ottenere risultati: basti guardare alle difficoltà attuali della Fiorentina o alla retrocessione del Parma di due anni fa. Piazze storicamente considerate superiori sono state superate dall'Atalanta proprio grazie alla gestione. La piramide parte dall'alto, e la base su cui poggia quella nerazzurra è solidissima. Saper gestire i momenti di difficoltà, come il cambio di allenatore, è sintomo di grande maturità manageriale».
Ci attende un calendario da brividi: Genova, poi i big match con Inter e Roma, e ancora Bologna e Torino. Percassi ha ricordato che "noi siamo l'Atalanta", sottolineando la vostra dimensione specifica. Come vede questo ciclo di partite contro colossi economici ben diversi?
«È una considerazione corretta e necessaria. Bergamo è una città straordinaria, ma non siamo il Real Madrid e non abbiamo il bacino d'utenza del Manchester United o della stessa Roma. Sono realtà con un potere economico-finanziario diverso. Tuttavia, la forza dell'Atalanta sta proprio nella consapevolezza della propria dimensione, unita alla capacità di competere ad armi pari sul campo grazie all'organizzazione e al talento. Sarà un fine anno e un inizio 2026 particolarmente impegnativo, ma la squadra ha le carte in regola per affrontarlo».
In chiusura, non possiamo non ricordare una bandiera come Eugenio Perico, scomparso proprio in queste ore. Un lutto che ci riporta a un'Atalanta d'altri tempi...
«Assolutamente sì. Abbiamo salutato con dolore "Genio" Perico, un simbolo di quell'Atalanta che andavo a vedere allo stadio quando avevo dieci anni. Era la squadra "ascensore" tra la Serie A e la C1, quella di Sonetti, quella in cui festeggiavamo come una vittoria il raggiungimento del quartultimo posto. Chi avrebbe mai immaginato allora di giocare stabilmente in Europa? Eppure, quegli anni sono stati fantastici. Ricordo la gioia di essere la "piccola" che dava fastidio alle grandi: la tripletta di Simonini a San Siro, il gol in rovesciata di Garlini, e ovviamente Glenn Stromberg. Stromberg che scelse di restare in B pur avendo vinto una Coppa UEFA col Benfica. Oggi siamo tra le big, ed è tanta roba, ma quei ricordi restano cuciti sulla pelle di ogni tifoso».
Un intervento, quello dell'Avvocato Di Cintio, che unisce la lucidità dell'analisi tecnica al calore della passione del tifoso. Tra la modernità di una società modello e la nostalgia di un calcio romantico, l'Atalanta si prepara a vivere un nuovo anno da protagonista, forte delle sue radici e sicura del suo futuro.
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Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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