A posteriori trovare qualcosa di positivo nell'avventura di Paulo Fonseca al Milan è praticamente impossibile. Non è solo una questione di scelta estiva completamente sbagliata, l'aver preferito il portoghese a Maurizio Sarri, Roberto De Zerbi o Antonio Conte. Il problema è soprattutto il resto. Tutto ciò che è accaduto al Milan negli ultimi sei mesi.
Fonseca a maggior ragione perché scelta impopolare avrebbe avuto bisogno fin da subito di un sostegno che in questi mesi non s'è mai nemmeno intravisto. Tra un litigio e l'altro il portoghese a Milanello ha dovuto sperimentare tutti i ruoli: dal dirigente al magazziniere. Non ha mai attecchito nello spogliatoio, non ha mai avuto la credibilità necessaria per portare avanti le sue idee. Ma chi c'era alle sue spalle a dargli autorevolezza? Nessuno. Come nessuno domenica sera s'è presentato dinanzi ai microfoni per annunciare il suo esonero. Ha parlato solo Fonseca, allenatore esposto al pubblico ludibrio. Esonerato prima di una partita importante, ma poi comunque spedito alla mercé dei giornalisti nel post-gara. Quando tutti sapevano, tranne lui.
Tutti sbagliano. Ma è nei dettagli che si scovano le sostanziali differenze. Sbagliò la scelta dell'allenatore anche Paolo Maldini quando nel suo primo anno da direttore tecnico del Milan insieme a Zvonimir Boban decise di puntare su Marco Giampaolo. Anche quella scelta si rivelò subito sbagliata: Giampaolo si insediò nello spogliatoio del Milan senza capirlo, cercò di rivoluzionarlo senza averne ascendente e a metà ottobre era già fuori. Non lo salvò nemmeno la vittoria contro il Genoa. Tre giorni dopo quella partita, il Milan comunicò l'esonero dell'allenatore nato nel Canton Ticino e poi, poco dopo, l'arrivo di Stefano Pioli.
Giampaolo fu esonerato l'8 ottobre. Fonseca è stato allontanato il 30 dicembre. È una differenza sostanziale perché quell'esonero arrivò quando la stagione aveva ancora tanto, tutto da dire. Questo invece arriva semplicemente troppo tardi. Fonseca oggi come Giampaolo quattro anni fa non è mai riuscito ad avere il gruppo dalla sua parte: una panchina dopo l'altra, s'è praticamente inimicato tutti i senatori. La squadra non è mai stata dalla sua parte, nemmeno i risultati. Sono arrivate un paio di vittorie ben assestate al momento giusto, ma della continuità che si confà a una grande squadra nemmeno l'ombra. Mai.
Per la scelta, per i tempi, per i modi, l'avventura al Milan di Paulo Fonseca è oggi una sconfitta per tutti. Per i dirigenti rossoneri ancor più che per il tecnico portoghese. Ieri sono risuonate incessanti le parole di un Ibrahimovic che al momento della presentazione di Fonseca si esprimeva così: "Abbiamo studiato bene, abbiamo messo dei criteri su cosa cerchiamo e cosa vogliamo: con tanti pensieri abbiamo scelto Fonseca per portare la sua identità di quei giocatori che abbiamo, per come vogliamo che gioca la squadra con un gioco dominante e offensivo. Fonseca è l'uomo giusto, siamo molto fiduciosi e ci crediamo tanto".
Previsione sbagliata. Come sbagliate sono state le parole sulle sua figura prima della partita col Liverpool: "Il mio ruolo è semplice. Tutti parlano, ma io comando, sono io il capo e tutti lavorano per me". Anche in questo caso non è andata così. Perché più volte Cardinale ha parlato di un team composto da Ibrahimovic, Furlani e Moncada alle sue dipendenze, ma poi lo stesso Cardinale ha scelto in prima persona di sollevare Fonseca per far spazio a Conceicao senza particolari consultazioni. Ha fatto capire chi davvero comanda.
La verità è che oggi Ibrahimovic è un dirigente molto lontano da quello che dice di essere. Da ciò che vuole far credere. Figura ispirazionale ma poco costante e ancor meno aperto al confronto, Ibra fatica a uscire dal personaggio che s'è creato da calciatore e chissà se ci riuscirà mai. Sarebbe stato perfetto per raccogliere l'eredità di Mino Raiola e diventare uomo immagine dell'agenzia oggi guidata da Enzo Raiola, con un ruolo più di copertina che di sostanza. Un ruolo probabilmente più adatto alle sue caratteristiche perché la vita da dirigente è un'altra storia: c'è bisogno di lavoro quotidiano, serve tantissima pazienza, sono necessarie costanti capacità di mediazione. Un ruolo in cui non ci sono i gol a sorreggere e a dar credibilità a un ego smisurato. Il risultato? In pochi mesi sta rapidamente esaurendo un credito che ha accumulato grazie a una carriera da 573 reti.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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