Ci sono giocatori che entrano nella storia per ciò che vincono, e altri per dove scelgono di andare. Franck Sauzée appartiene a entrambe le categorie. Campione d’Europa con il Marsiglia nel 1993, centrocampista elegante, tecnico e carismatico, aveva tutto per diventare un’icona anche a Bergamo. E invece divenne l’emblema di un cortocircuito perfetto: un campione nel pieno della carriera, precipitato in una stagione da incubo.
Quando l’Atalanta decise di portarlo a Zingonia, pochi mesi dopo la finale di Monaco di Baviera vinta contro il Milan, l’entusiasmo era alle stelle. Il presidente Antonio Percassi aveva fiutato l’affare: 5 miliardi di lire per un titolare del Marsiglia di Deschamps, uno dei centrocampisti più forti d’Europa, uomo da 18 gol in stagione, sei dei quali in Champions League. Non era un colpo da Atalanta. Era un colpo da grande d’Europa.
UN’ESTATE DI ILLUSIONI – L’estate del ’93 sembrava preludio di una svolta - descrive e ricorda nel suo speciale approfondimento Bergamonews.it -. In panchina c’era il giovane Francesco Guidolin, appena 38 anni, reduce da una promozione col Ravenna. La squadra era reduce da un dignitoso settimo posto, c’era aria di ottimismo. I tifosi accolsero Sauzée come un messia. «È lui l’uomo che ci farà sognare» titolava la Gazzetta dello Sport dopo il Trofeo Bortolotti vinto contro il Marsiglia: un 3-2 che pareva un segno del destino.
Sul campo, però, il destino prese tutt’altra direzione. L’Atalanta partì male, malissimo: sei punti in dieci giornate, un’identità smarrita e una squadra in confusione. A novembre Percassi esonerò Guidolin, affidando la panchina al tandem Prandelli-Valdinoci. Il presidente si sarebbe poi dimesso pochi mesi dopo, lasciando il club ai Ruggeri. Era il preludio della retrocessione.
IL GENIO IN COMPAGNIA DEL CAOS – Sauzée, che aveva conquistato l’Europa accanto a Deschamps, Völler e Boksic, si ritrovò in un contesto tecnico e umano distante anni luce da quello a cui era abituato. In campo era sempre titolare, ma il suo talento raffinato cozzava con il disordine collettivo. Nel caos generale, segnò tre gol (due in Coppa Italia al Cosenza e uno alla Sampdoria), ma il suo contributo non bastò a salvare la stagione.
Uno sfogo di Guidolin nello spogliatoio — «Ma chi credete di essere, mica avete vinto la Champions League» — divenne la pietra tombale sul rapporto tra i due. Lui, che quella coppa l’aveva davvero alzata pochi mesi prima, si sentì umiliato. Da lì in poi la parabola fu discendente. A dicembre arrivò la pubalgia, poi la frustrazione per l’eliminazione della Francia nelle qualificazioni mondiali. Chiuse la stagione con appena 18 presenze.
L’UOMO GIUSTO NEL POSTO SBAGLIATO – Di Sauzée, a Bergamo, è rimasto un ricordo sospeso tra rispetto e malinconia. I compagni lo descrivono come un professionista impeccabile, silenzioso, educato, ma distante. «Forse era abituato a un altro livello», diranno in molti anni dopo. Qualcuno lo ricorda per «il tiro di piatto più potente mai visto in allenamento», altri per il suo silenzio: «In un anno gli ho sentito dire cinque parole». Non era un problema di talento — quello non gli è mai mancato — ma di contesto. La Dea, allora, viveva una delle stagioni più difficili della sua storia recente. Il francese, che aveva guidato da capitano la nazionale e segnato 9 gol in 39 presenze con i Bleus, si trovò improvvisamente catapultato in una squadra che lottava per la sopravvivenza. Non era il suo calcio, non era il suo mondo.
IL DOPO BERGAMO – A primavera del ’94, con l’Atalanta ormai condannata alla Serie B, Sauzée salutò in anticipo per tornare a Marsiglia. Poi passò allo Strasburgo e chiuse la carriera in Scozia, all’Hibernian, dove divenne un idolo e guadagnò il soprannome di Le God. Dopo il ritiro si dedicò alla televisione, commentando la Ligue 1 e diventando una voce riconoscibile nei videogiochi FIFA.
A Marsiglia, il suo nome è ancora legato alla Coppa dei Campioni del ’93, l’unica della storia dell’OM. A Bergamo, invece, è rimasto come un’eco lontana, il simbolo di un sogno svanito troppo in fretta.
L’ULTIMO SIMBOLO DI UN’EPICA IMPERFETTA – Rileggere la storia di Franck Sauzée significa anche capire quanto l’Atalanta sia cambiata. Oggi, vedere un campione d’Europa in carica vestire la maglia nerazzurra non sarebbe più un evento irripetibile. Ma trent’anni fa lo era eccome.
Sauzée fu l’uomo giusto nel momento sbagliato: la dimostrazione che anche i campioni, fuori dal loro ecosistema, possono sembrare comuni mortali. Un talento incompreso, precipitato nel caos di una stagione maledetta. Eppure, ancora oggi, basta pronunciare il suo nome perché a Bergamo riaffiori un’epoca ingenua, fragile e irripetibile. L’epoca in cui la Dea aveva osato toccare il cielo, ma si era ritrovata all’inferno.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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