Basta un istante, una serata tranquilla che precipita nel dramma: la morte di Riccardo Claris a Bergamo, colpito da un fendente in via Ghirardelli, lascia dietro di sé dolore e interrogativi. Ora, attraverso la voce degli amici, emergono nuovi elementi che svelano una storia diversa da quella raccontata fino ad oggi.
«NON ERA UNO SCONTRO TRA TIFOSI»
Paolo e Massimo (nomi di fantasia per tutelare la loro privacy), due giovani amici della vittima presenti quella notte al Reef Cafè, smentiscono con decisione che il tragico episodio sia stato causato da questioni calcistiche - scrive L'Eco di Bergamo -. «Noi stessi siamo tifosi dell’Inter, come l’aggressore. È assurdo parlare di scontro fra tifoserie: con noi c'erano ragazzi juventini e atalantini, non aveva nulla a che fare col calcio», sostengono i due ragazzi. Una dichiarazione che contrasta nettamente con la prima ricostruzione degli investigatori, che ipotizzavano motivazioni legate al tifo organizzato.
LA TENSIONE NEL BAR
La serata era iniziata tranquillamente, raccontano i giovani, finché non è arrivato il gruppo del diciottenne Jacopo De Simone, poi arrestato per omicidio. «Sono entrati con arroganza, provocandoci verbalmente, facendo battute pesanti, insulti volgari anche rivolti alle nostre madri», ricordano i testimoni. «Nessuno di noi ha risposto in modo violento. Erano ragazzi più piccoli, non abbiamo dato troppo peso inizialmente alla cosa». Nessuno, precisano, aveva spranghe o oggetti contundenti, come invece riportato inizialmente da alcune voci.
LA TRAGEDIA IN POCHI ISTANTI
Dopo una breve tensione verbale dentro e fuori dal locale, il gruppo di De Simone sembrava allontanarsi. Gli amici di Riccardo decidono di raggiungerli solo per chiedere spiegazioni sulle provocazioni ricevute. Ma è proprio in via Ghirardelli che la situazione precipita. «Parlavamo con la madre di quel ragazzo, uscita di casa per calmare gli animi. Sembrava tutto risolto, poi qualcuno ha gridato improvvisamente: “Attenzione, ha una lama!”. Mi sono girato e Riccardo era già a terra», racconta sconvolto uno dei ragazzi presenti al momento dell’aggressione, in un drammatico racconto riportato dai due amici.
I MINUTI DELLA DISPERAZIONE
Massimo descrive la disperazione di quei momenti. «Quando siamo arrivati, Riccardo era già immobile a terra. I soccorritori hanno cercato disperatamente di salvarlo, ma dopo circa quaranta minuti hanno dovuto arrendersi. La fidanzata urlava disperata, chiedendo aiuto, mentre la mamma dell’aggressore ripeteva disperata che la sua vita era ormai finita». Un quadro di dolore e sgomento, cristallizzato nella memoria di chi quella notte non potrà dimenticarla facilmente.
IL PESO DEL DESTINO
«È assurdo – conclude Massimo, ancora visibilmente scosso –. Non ho dormito, rivivendo continuamente quei momenti. Una banale provocazione, un insulto sciocco e la vita finisce così, senza un perché. Poteva accadere a chiunque di noi. Oggi sappiamo con certezza che perdere la vita può essere questione di attimi, di centimetri, di casualità».
Resta dunque il senso di assurdità, di impotenza di fronte a una morte così inspiegabile. Una tragedia che, al di là delle indagini e dei processi, ci lascia una lezione amara e crudele: a volte basta davvero troppo poco per spezzare una vita.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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