Brescia e Bergamo, storia di un rapporto conflittuale. Figuriamoci nel calcio, dove però qualche cugino dell'oltre Oglio è riuscito lo stesso a farsi amare su un campo di gioco tra il Brembo e il Serio fasciato dai colori dell'Atalanta. Chico Nova negli anni Sessanta, per dirne uno. Più tardi, Luciano Bodini e Fulvio Simonini. Oppure Nippo Nappi, romano de Roma ma con trascorsi a volo di Rondinella. E nella rara fattispecie rientra anche Battista Festa, beneficiario - o vittima, scelga il lettore - della nostra rubrica fissa e un po' mattoide dedicata agli amarcord con le candeline sulla torta: un esempio di fedeltà alla causa nerazzurra, che nel 1977 contribuì alla risalita in A e nel 1981 chiuse i battenti dopo essere sprofondato in C con tutta la nave. Il clarense, determinato e vivace come l'uva della sua Franciacorta, al momento di dire basta aveva 37 anni: oggi, con 30 di più sul groppone, gli toccano le affettuose tirate d'orecchie di giornata.
Tornando all'assunto, non capita molto spesso che, sfidando rivalità di campanile ataviche e a volte sanguigne, giocatori nati o cresciuti all'ombra del Castello Cidneo riescano a fare fortuna sotto le Mura Venete. Forse a favorire Festa, nato a Chiari il 10 agosto del 1944, c'era l'assoluta mancanza nel curriculum di tracce di brescianità pallonara. Centrocampista di interdizione e di spinta, mobile come una dinamo e con non pochi gol in canna per quello che poteva essere definito un mediano (saranno 44 nei soli campionati disputati, Coppa Italia esclusa, al termine di una grande carriera lontano dalle big), con le maglie azzurre dalla V bianca sul petto non ebbe mai a che vedere. Cresciuto nel Pergocrema e svezzato nel Modena, raggiunse Cesena nel 1971 esordendovi nella massima serie il 7 ottobre 1973 contro il Torino. Proveniente da una terra vocata alle bollicine, era inevitabile che in Riviera incontrasse uno dei primissimi profeti del calcio champagne: Pippo Marchioro, il mago di Affori che nel 1975/76 portò i bianconeri - illuminati dalla regia formato tascabile di Mario Frustalupi - del presidentissimo Dino Manuzzi al sesto posto che valse la storica qualificazione in Coppa Uefa.
Peccato che la ribalta continentale non potè godersela, il Battista da Chiari. Che, a un giro di orbita soltanto dall'età del Signore, accettò il trasferimento in cadetterìa sposando il progetto del patron Achille Bortolotti e dell'allenatore Titta Rota. Fu subito promozione, e poi due annate in A prima della nuova caduta: il destino delle provinciali, dal filo del rasoio non si scampa mai. Accanto, compagni che sono entrati nella leggenda: Pierluigi Pizzaballa, la figurina più ricercata dell'album Panini, ormai agli sgoccioli; Ezio-gol Bertuzzo, idolo della curva; il "George Best di Bergamo" Augusto Scala, talentaccio dalla vita mondana by Bagno di Romagna; il settepolmoni all'ala Antonio Rocca; il libero-jolly Giorgio Mastropasqua. 135 presenze condite da 6 reti, ligio al dovere come da copione, e pazienza se le ultime sgambate il nostro dovette pupparsele in B. All'ultimissimo tuffo di una parabola valorosa, il tempo dei cambiamenti epocali e dell'amarissima sorpresa a fine stagione: in panchina Bruno Bolchi è poco Maciste e deve lasciare il posto al mancato taumaturgo Giulio Corsini; sullo scranno più alto il baby Cesare Bortolotti rimpiazza il burbero ma umanissimo papà e si prende il sonoro schiaffone della caduta agli inferi. Per Festa c'è solo il chiodo a cui appendere gli attrezzi da lavoro. Usati abbastanza, e quel che più conta con spirito indomito, da meritarsi il ricordo e gli auguri di tutti gli atalantini.
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