Un’Atalanta a due facce ma in crescita, capace di riscoprire l’intensità, l’aggressività e il talento offensivo che avevano fatto innamorare i tifosi. Dalle prime delusioni di campionato ai segnali incoraggianti delle gare contro Bruges e Como, fino ai temi più ampi del calcio moderno – dagli infortuni all’invasione del business –, Enrico Mazza, firma autorevole de L’Eco di Bergamo (Corner), ha analizzato con Fabrizio Pirola ai microfoni di Bergamo TV il momento della Dea e le trasformazioni di un calcio che cambia volto, tra campo e calendario. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com.
Enrico, che idea ti sei fatto di questo avvio di stagione? Ti aspettavi un’Atalanta così?
«Direi che è stato un inizio a due facce. Le prime giornate hanno lasciato qualche delusione, soprattutto per l’intensità agonistica, che sembrava un po’ smarrita. Oggi, però, le partite contro Bruges e Como, entrambe giocate in casa, ci hanno restituito un’immagine molto diversa: un’Atalanta tornata a imporre il proprio gioco, aggressiva e intensa, con la voglia di costruire e dominare la partita. È un segnale fortissimo. Inoltre, davanti c’è tanto talento. Mi è piaciuta molto la scelta di Juric, che in piena emergenza ha schierato Samarzic, Lookman e Sulemana rinunciando al centravanti di ruolo: una soluzione tattica brillante che apre nuove prospettive. Sta gestendo l’emergenza con coraggio e lucidità».
Proprio su questo, L’Eco di Bergamo ha parlato di “Tridentino”: un tridente senza centravanti vero e proprio. È la nuova idea tattica di Juric?
«Sì, e la definizione è simpatica ma azzeccata. Juric ha costruito un attacco più fluido e imprevedibile, con tre giocatori tecnici capaci di muoversi tra le linee e cambiare posizione. È una scelta obbligata, data l’assenza di Scamacca, ma anche una mossa di visione: rende la squadra più flessibile e pronta a gestire eventuali altre assenze. Certo, ci sono pro e contro, ma se ripensiamo al primo tempo di Atalanta–Como, credo che sia stato uno spot per il calcio moderno. L’Atalanta ha ritrovato coraggio e bellezza nel suo modo di giocare».
Oltre al bel gioco, contro il Como si è vista una Dea capace di imporsi contro una squadra che fa del calcio offensivo la sua identità.
«Esatto. È un aspetto che mi ha colpito molto: l’Atalanta è tornata a fare calcio offensivo proprio contro una squadra che vive di gioco propositivo. È stata l’Atalanta a imporsi per larghi tratti, a ricercare la verticalità, a proporre un calcio piacevole e aggressivo. Una partita che ha dato solo un punto, ma che ha detto tantissimo sulla direzione intrapresa. E, dopo la sosta, con più giocatori a disposizione, potremo vedere una crescita ancora più evidente».
Gli infortuni restano però un tema centrale. Quanto possono incidere nel percorso della Dea?
«Siamo in una fase eccezionale, ma dobbiamo anche abituarci all’idea che su una rosa di 24–25 giocatori ce ne siano sempre 3 o 4 fermi per problemi muscolari. È la conseguenza del ritmo forsennato di allenamenti, partite e calendario. È un discorso che vale per tutti gli sport di alto livello: il corpo ha dei limiti. Penso alle immagini di Jannik Sinner che usa la racchetta come un bastone per trascinarsi in panchina: sono emblematiche di un sistema che chiede troppo ai suoi protagonisti. Si tirano le corde fino all’eccesso, e poi inevitabilmente qualcosa si rompe».
Restando sul tema del calendario, la decisione di far giocare una partita del nostro campionato addirittura in Australia ha scatenato polemiche.
«Sì, è una decisione che lascia perplessi. Si giocherà a Perth, in Australia: un evento eccezionale che l’UEFA ha autorizzato solo come deroga unica, giustificandolo con l’indisponibilità di San Siro durante le Olimpiadi. Ma la sostanza non cambia: è calcio business. Un tifoso sottoscrive un abbonamento per andare allo stadio vicino a casa e poi scopre che la sua squadra giocherà a 15.000 chilometri di distanza. È un colpo alla passione. I tifosi rossoneri sono in rivolta, e li capisco: chi aveva programmato di andare al Meazza si ritrova costretto a guardarla dal divano».
Si poteva gestire diversamente?
«Assolutamente sì. Si poteva scegliere una sede più vicina, magari Atene, mantenendo la logica sportiva e il rispetto per i tifosi. Ma il calcio moderno è ormai un’industria globale. La conquista di nuovi mercati – ieri l’Europa, oggi l’Asia e l’Oceania – è diventata una priorità economica. È un peccato, perché il tifoso resta l’anello debole della catena. Si parla di “evento unico”, ma temo sia un precedente pericoloso».
E in Italia, invece, la reazione dei tifosi sembra sempre molto più contenuta.
«Hai perfettamente ragione. In Italia le proteste sono spesso soporifere, quasi rassegnate. In Inghilterra o in Germania una decisione del genere avrebbe scatenato un putiferio, probabilmente sotto le sedi della Premier o della DFL. Qui da noi, invece, prevale l’abitudine, e questo lascia spazio alle scelte dettate solo dal business. Lo stesso vale per la Coppa Italia, con orari improbabili come mercoledì alle 15: è tutto deciso per esigenze televisive. E finché gli stadi continueranno a riempirsi, nulla cambierà. Come dice il proverbio: business is business».
Dalla rinascita dell’Atalanta di Juric alla deriva globale del calcio moderno, l’analisi di Enrico Mazza è lucida e concreta: entusiasmo per una squadra in crescita, ma preoccupazione per uno sport sempre più schiacciato da logiche economiche e diritti televisivi. La Dea, intanto, torna a piacere, e in questo scenario resta una certezza: il calcio vero vive ancora dove c’è passione, sacrificio e identità.
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Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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