C’è stato un tempo in cui Nicola Ventola era considerato uno dei talenti più promettenti del calcio italiano. Correva, dribblava, segnava e sorrideva, come nella finale dei Giochi del Mediterraneo del 1997, quando con una doppietta alla Turchia trascinò l’Italia al successo. Il giorno dopo, grazie a una deroga speciale, sostenne l’esame di maturità: «I Carabinieri arrivarono con una traccia solo per me», racconta oggi in una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport, quasi cinquant’anni e dieci operazioni dopo. «A 19 anni mi sentivo un supereroe, poi gli infortuni mi hanno distrutto».
L’ASCESA E IL CROLLO – A 18 anni aveva già segnato 10 gol in Serie B con il Bari. Lo volevano tutti: Inter, Roma, Milan, Juve, Monaco e persino il Chelsea di Vialli. «Totti mi chiamava ogni giorno per convincermi, ma scelsi l’Inter per Ronaldo. Quando Vialli telefonò a casa, rispose mia madre: “C’è il signor Vialli”, disse. Io pensai a uno scherzo e gli riattaccai in faccia». Da allora, però, la sua carriera fu segnata da una lunga sequenza di traumi. Il primo a Empoli, per un fallaccio di Daniele Baldini: «Mi ruppe il crociato e non mi ha mai chiesto scusa».
LA NOTTE IN COLORADO – Il colpo più duro arrivò a 24 anni. «Nessuno voleva operarmi. Pensavo di smettere. Poi Branchini mi portò dal dottor Steadman, in Colorado. L’intervento aveva il 70% di riuscita, ma andò bene. Restai fermo un anno». Un periodo buio, segnato anche dal bisogno di supporto psicologico: «Veniva uno specialista a casa. Ero convinto di essere maledetto. Non credevo più a nulla».
FEDE E FAMIGLIA – Ventola ammette di aver attraversato momenti di rabbia anche con la fede: «Sono cresciuto andando in chiesa, ma a un certo punto mi sono arrabbiato con Dio. Poi ho ritrovato l’equilibrio. Mi sono laureato in Comunicazione nel 2019, l’ho fatto per mio padre, morto nel 2000. Non ha conosciuto mio figlio, e mi manca ogni giorno».
L’INTER, RONALDO E IL 5 MAGGIO – Nel 1998, a Milano, conobbe Ronaldo: «Siamo fratelli. In Brasile non controllavano neanche il passaporto: “Io qui come il Papa a Roma”, diceva. La famosa punizione contro lo Spartak Mosca nacque da una sua follia: voleva darmela di tacco, gli dissi che non ero lui. Poi segnai un gol incredibile». E poi arrivò il 5 maggio 2002, lo scudetto perso all’ultima giornata: «Il rimpianto più grande, insieme al non aver mai debuttato in Nazionale. Mentalmente avevamo già vinto, ci eravamo portati persino le maglie celebrative».
GLI ULTIMI ANNI – Dopo Inter, Torino e Atalanta, chiuse a 32 anni: «Sono fiero di aver segnato l’ultimo gol in Serie A all’Olimpico, contro la Roma, la squadra per cui tifavo da bambino. A Novara, in Serie C, chiesi lo stipendio minimo con bonus promozione. Quando salimmo, mi volevano ammazzare (ride)».IL te
DAL CALCIO ALLO SHOW – Oggi Ventola ha ritrovato la serenità: «Sono felice, faccio ciò che amo con Adani e Cassano. “Viva el Futbol” è puro divertimento: c’è chi ci ama e chi ci odia, ma dietro c’è competenza. Loro vedono 6-7 partite al giorno, io un po’ meno».
L’ADDIO A VIERI – Il rimpianto più amaro resta la rottura con Christian Vieri, dopo anni di amicizia: «Quando finisce un legame di 25 anni è sempre un dispiacere. Quando ci incrociamo non ci salutiamo, ma io sono un uomo pacifico: il tempo curerà le ferite».
Dieci operazioni, un treno deragliato e la forza di rialzarsi sempre. Nicola Ventola ha perso la velocità, ma non la leggerezza. E forse è questo il gol più bello della sua vita.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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