Scocca la mezzanotte. È il 17 ottobre 2025 e Bergamo, ancora una volta, si ferma per la sua Dea. Centodiciotto anni di calcio, emozioni e appartenenza, di una storia che ha attraversato generazioni e confini, trasformando una squadra di provincia in una delle realtà più ammirate d’Europa. L’Atalanta non è solo un club: è un sentimento collettivo, una fede civile, una dichiarazione d’amore che in questa città ha lo stesso peso della parola “casa”.

DALLA PROVINCIA ALL’EUROPA – C’era una volta la “regina delle provinciali”. Oggi, quella definizione suona quasi riduttiva. Perché la Dea non è più soltanto un simbolo di provincia che resiste ai giganti, ma un modello che li sfida e spesso li supera. Quelle notti a San Siro contro il Valencia, le battaglie a Liverpool, le vittorie contro le potenze che contano miliardi, ma non conoscono il significato della parola “identità”. E poi, Dublino, 22 maggio 2024: la notte che ha cambiato tutto. Europa League vinta, battendo il Leverkusen in una finale che sembrava scritta da un poeta e non da un allenatore. Lì, nel cielo irlandese, l’Atalanta ha alzato il suo primo trofeo internazionale. Una coppa che non è solo metallo, ma la somma di ogni sforzo, di ogni ferita, di ogni sogno di chi ha creduto che una squadra di Bergamo potesse riscrivere la geografia del calcio europeo.

L’EREDITÀ DI UNA CITTÀ – Il merito non è solo dei gol e delle vittorie, ma di un’idea. Di una società che ha saputo coniugare visione e radici, impresa e appartenenza. Dalla presidenza di Antonio Percassi alla solidità di Luca, dalla cultura di lavoro di Zingonia ai ragazzi lanciati nel grande calcio. Un progetto che ha reso orgogliosa un’intera comunità, dimostrando che il successo non è un privilegio, ma una costruzione quotidiana fatta di sacrificio, metodo e talento. E ora prosegue con ancora più ambizione internazionale con Stephen Pagliuca.

E quando l’era Gasperini – il profeta del gioco totale – si è chiusa, l’Atalanta non ha smesso di guardare avanti. Con Ivan Juric, la Dea sta conservando l’anima e rinnovando la sua pelle. Lo spirito è lo stesso: aggressivo, elegante, testardo. Perché l’Atalanta non si adagia, non si accontenta, non si volta mai indietro.

IL CALCIO COME APPARTENENZA – In un calcio sempre più distante dalle sue città, la Dea è rimasta ciò che è sempre stata: una squadra che parla la lingua del suo popolo. A Bergamo non si va allo stadio, si va all’Atalanta. Si cresce con quella maglia addosso come fosse un’eredità familiare, si tifa per un simbolo che rappresenta il lavoro, la dignità, la resilienza.

È per questo che la festa dei 118 anni non sarà una semplice ricorrenza, ma un rito collettivo. Oggi, tra piazzale Goisis e la Curva Sud Morosini, la città accoglierà la statua dell’Europa League, l’opera in marmo che i tifosi hanno voluto come omaggio eterno alla vittoria di Dublino. Alta due metri, pesante come la storia che rappresenta, sarà collocata davanti alla New Balance Arena, per ricordare a tutti che i sogni, a volte, diventano pietra.

IL COMPLEANNO DI UNA DEA – Dalle 18.30, Bergamo vivrà una notte di memoria e orgoglio: maglie storiche, musica, sapori bergamaschi, la coppa originale esposta per la prima volta. Ci saranno giocatori di ieri e di oggi, allenatori e dirigenti, e soprattutto ci sarà la gente, quella che non ha mai smesso di cantare anche quando tutto sembrava perduto. Perché se c’è una cosa che la storia dell’Atalanta insegna, è che non serve essere i più ricchi per essere i più grandi. Basta crederci. Basta amare.

UNA DEA CHE NON INVECCHIA – Centodiciotto anni dopo la sua nascita, l’Atalanta è più viva che mai. È la squadra che ha portato l’Italia in Europa, che ha unito un popolo e che continua a far sognare una città intera. Oggi Bergamo la celebra, ma in fondo è la Dea che celebra Bergamo: la sua gente, la sua tenacia, la sua anima.

Buon compleanno, Atalanta.
Centodiciotto anni di amore, e nemmeno una ruga.

Sezione: Primo Piano / Data: Ven 17 ottobre 2025 alle 01:00
Autore: Lorenzo Casalino / Twitter: @lorenzocasalino
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