C’è un tema che sta prendendo sempre più spazio nei corridoi del mercato: il decreto crescita. Nato con l’idea di riportare in Italia (approfittando di una tassazione agevolata per chi era residente all’estero da almeno due anni) i professionisti più brillanti che nel frattempo avevano scelto di portare altrove le proprie competenze, è stato sfruttato anche dal calcio.
Qualcuno l’ha paragonato alla famosa “legge Beckham” che in quel determinato periodo storico favoriva proprio i club spagnoli: li rendeva più attrattivi perché in grado di proporre un salario netto più alto rispetto agli altri paesi. E in quel periodo, rimarcando proprio questa differenza, non erano poche le polemiche (alcune che partivano anche dall’Italia) per sottolineare quanto competitivo fosse questo vantaggio e che a livello europeo non garantiva equità.
Ora che l’Italia (e quindi la serie A) è nelle stesse condizioni, l’interpretazione che ne viene fatta dai nostri club non è (solo) quella di essere più attrattivi per i grandi campioni, ma per poter avere (allo stesso prezzo lordo) un giocatore, teoricamente più forte. E quindi la polemica si sposta proprio su quell’avverbio: teoricamente.
Da quando non esistono più le barriere in Europa si è fatto largo uso di comunitari: circolazione libera. Il numero dei non italiani è naturalmente cresciuto a dismisura. Il mercato è diventato davvero globale e non è stato possibile effettuare alcun tipo di limitazioni. Le uniche deroghe sono state fatte per la costruzione delle liste (4 provenienti dal proprio settore giovanile, 4 dal settore giovanile di una squadra italiana) sia Uefa che SerieA: ma è evidente che non si può fare riferimento alla nazionalità. Si diceva - allora, come oggi - che questo tipo di norma avrebbe impoverito la nostra Nazionale.
Con il senno di poi non è stato possibile neanche trovare una risposta. Nel frattempo l’Italia (intesa come Nazionale) è riuscita a vincere un Mondiale e un Europeo. A lungo i club italiani hanno sfruttato quest’onda lunga della circolazione libera attraendo in Italia (senza “decreti crescita” o “leggi Beckham”) i migliori giocatori del mondo. Con conseguente dominio in Europa. Poi l’epoca d’oro mano mano è scemata, e l’Italia, anzi la serieA è diventata sempre meno ricca, sempre attrattiva (per l’estero) a tutto vantaggio, principalmente, della Premier.
Il decreto crescita non ha aiutato (se non in minima parte) i nostri club, più importanti. L’effetto sperato (come magari successe per Real, soprattutto, e Barcellona) che magari non certamente nella testa dei legislatori ma nelle intenzioni dei dirigenti dei nostri club, non è (ancora) stato quello di insidiare la Premier. Sono troppo ricchi, troppo organizzati, troppo attrattivi per avvertire un problema. Il decreto crescita ha sicuramente favorito l’arrivo di alcuni giocatori molto importanti (Lukaku, Ibrahimovic, De Ligt tanto per citarne alcuni) ed è sicuramente un vantaggio competitivo che è stato sfruttato. Poi in alcuni casi non è stato sufficiente per mantenere alcuni di questi giocatori.
Ed è stato sfruttato, come detto, per far arrivare in Italia molte giovani promesse che nel peggiore dei casi (per le società) costano lo stesso modo di un giocatore - sempre teoricamente - più scarso, ma italiano.
Insomma: se prendi l’italiano paghi di più, tradotto in maniera brutale. Anche perché c’è un combinato che riguarda anche le formule di pagamento del cartellino: in Italia per garantire un trasferimento c’è bisogno di una garanzia fidejussoria, all’estero no. Si da per scontato che tu paghi: se non lo fai ti viene tolta la licenza Uefa e quindi non puoi partecipare alle competizioni.
Quindi - sempre in teoria - comprare all’estero conviene. Ma siamo sicuro però che questa convenienza (economica) si traduca in una convenienza reale (e quindi tecnica)?. E tornando al principio del “decreto crescita” siamo sicuro che tutti i giocatori stranieri sono delle eccellenze che certamente migliorano il campionato di SerieA?
Ecco perché è stato lanciato questo grido d’allarme, da parte del mondo del calcio. Si è accesa una lampadina per cercare di far fronte a quello che potrebbe diventare un problema, anche per il futuro della Nazionale stessa. Ma si può non prendere in considerazione una legge dello Stato? Certo che no, ma può essere interpretata, probabilmente, in un modo più corretto. O almeno questo è quello che pensano ora quelli che guidano questa corrente di pensiero.
Per le eccellenze ben venga il decreto crescita. Ma non tutti sono un eccellenza. E come si può fare? Chi determina l’eccellenza o meno? L’idea è quella di prendere spunto dall’Inghilterra, quando per far entrare nella Premier giocatori extracomunitari soltanto di livello avevano fissato dei paletti: almeno il 70% delle presenze nella Nazionale del proprio Paese. Oppure una commissione che certificasse che quel giocatore sarebbe stato un elemento qualitativo in più, in grado di accrescere il movimento.
Strada giusta? Sicuramente un tentativo che va fatto. Oggi, soprattutto in periodo post Covid, l’attenzione economica è massima. E un vantaggio (o un risparmio) è vitale per le società. Così come però è vitale guardare al futuro, al domani. E non soltanto all’immediato.
Ecco perché è giusto parlarne.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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