C'è un sottile confine tra realtà e narrazione, tra quello che si vive davvero e quello che si sceglie di raccontare. Il film sull'Atalanta, "Una vita da Dea", mostrato in anteprima al cinema sotto lo sguardo orgoglioso di Antonio Percassi e quello discreto, quasi imbarazzato, di Gian Piero Gasperini, ci ricorda proprio questo: una grande storia ha bisogno di un grande narratore. In questo senso, Bergamo e l'Atalanta non potrebbero trovare narratore migliore del tecnico piemontese. Eppure, mentre sul grande schermo scorrevano le immagini trionfali di Dublino, in platea era inevitabile porsi una domanda: per quanto tempo ancora Gasperini sarà il regista di questa favola nerazzurra?
La risposta è nelle mani di tanti. Innanzitutto in quelle dello stesso Gasperini, che negli ultimi mesi è sembrato combattuto tra l'orgoglio di chi ha portato l'Atalanta dove nessuno aveva mai osato e il dubbio di poter dare ancora qualcosa di nuovo a un ambiente che ha plasmato a propria immagine e somiglianza. È nelle mani di Percassi, che durante la presentazione del docu-film, tra il serio e il faceto, ha lanciato al tecnico un messaggio inequivocabile: «Il regista è stato bravo, speriamo però che resti ancora con noi». Una dichiarazione che non lascia spazio a dubbi: Gasperini resta il perno del progetto, anche se le carte del futuro non sono ancora scoperte.
Ma la verità è che il destino di Gasperini a Bergamo è nelle mani anche della squadra che ha costruito, plasmato e reinventato stagione dopo stagione. La sfida di domenica contro la Lazio rappresenta un passaggio cruciale non solo nella corsa Champions, ma soprattutto nel rapporto tra il tecnico e i suoi uomini. Gasperini, che torna in panchina dopo la squalifica di Firenze, sa perfettamente che la Dea di oggi è un'Atalanta stanca, forse usurata dall'uso intenso che lui stesso ne ha fatto. È come una pellicola che, dopo mille proiezioni, rischia di logorarsi. Eppure, il tecnico piemontese sembra deciso a reinventarsi ancora una volta, puntando su un cambio tattico che può rimescolare le carte e rilanciare energie nascoste.
L’esclusione annunciata di De Ketelaere, talento cristallino ma intermittente, e il ritorno determinante di Ederson a centrocampo, non sono soltanto scelte tecniche. Sono segnali forti inviati al gruppo e all'ambiente. Gasperini vuole affidarsi ai suoi fedelissimi, ai suoi guerrieri più fidati, per ritrovare quella solidità e quella fame che nell’ultimo periodo sono mancate. Non è soltanto una questione di moduli, è una questione di anima. Il 3-4-1-2 previsto contro la Lazio è un ritorno alle origini, a un'Atalanta che più volte ha stupito proprio quando sembrava esaurita.
E qui emerge tutto lo spessore di Gasperini: lui, che ha saputo trasformare l'Atalanta da provinciale orgogliosa a grande realtà europea, è anche il primo a sapere che i cicli non durano per sempre. Il mister sembra consapevole che ogni film ha un inizio e una fine, ma resta convinto che questa storia abbia ancora molto da raccontare. Perché non è ancora arrivato il momento dei titoli di coda, almeno non finché c'è una Champions da conquistare e un popolo da far sognare.
Così, mentre Bergamo si gode commossa il ricordo di un'impresa straordinaria racchiusa in un film, la mente di Gasperini è già altrove, già proiettata sul campo, già alla ricerca del prossimo finale da scrivere. Perché un grande regista non vive mai nel passato: sa sempre che il prossimo copione può essere quello più bello.
Domenica al Gewiss Stadium potrebbe essere la scena decisiva per capire se il grande regista resterà ancora a lungo sul set nerazzurro. Oppure, chissà, per scoprire se stiamo assistendo al preludio di un film di addio che, inevitabilmente, farà scorrere qualche lacrima.
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