C’è chi entra nella storia con un gol e chi alzando un trofeo. Poi c’è chi ci entra in punta di piedi, ogni giorno, con silenziosa dedizione, costruendo fondamenta invisibili che reggono tutto. Angelo Tosi, storico massaggiatore del vivaio nerazzurro, è uno di questi. Ottantacinque anni: 65 dedicati ai più piccoli. Da 56 anni cura muscoli e cuori nel settore giovanile dell’Atalanta. Con la sua berrettina azzurra e un sorriso gentile ha accompagnato generazioni di calciatori, trasmettendo valori, presenza, umanità. Lo scorso weekend era al 7° Trofeo Emiliano Mondonico con l’Atalanta U13. Oggi, più che mai, la luce è tutta per lui.
Angelo, com’è iniziata la sua avventura con l’Atalanta?
«Io sono un milanese che ha sposato una bergamasca di Nembro - confida, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -. Facevo il massaggiatore per le squadre dei piccolini dell’Inter e, quando mi sono sposato, mi sono candidato all’Atalanta. Ho iniziato il 20 settembre 1969. Questa è la mia 57ª stagione in nerazzurro».
Una delle collaborazioni più longeve.
«Ne parlavo recentemente con un dirigente di un’altra squadra: mi diceva che, probabilmente, non esiste un’altra figura rimasta così a lungo, nello stesso settore giovanile».
Per lei non è più un lavoro. L’Atalanta è diventata famiglia?
«È un legame molto forte, con l’Atalanta e con la famiglia Percassi. Li ho visti passare tutti dal settore giovanile: il presidente Antonio nel 1970, poi Luca e i suoi figli. Mi vogliono tutti un gran bene. Negli anni ho avuto altre proposte, ma ho sempre scelto di restare: l’Atalanta è famiglia».
Ha visto tanti ragazzi diventare professionisti: c’è qualcuno che ricorda in modo particolare?
«Impossibile sceglierne uno. Sono stato il massaggiatore di squadre con Gaetano Scirea, Luciano Bodini, Roberto Donadoni. E poi il mio amico Giancarlo Finardi: ogni volta che ci vediamo a Zingonia mi abbraccia e dice che lui, io e il presidente siamo gli “storici” dell’Atalanta. Ci conosciamo da oltre 50 anni».
E in tempi più recenti?
«Tutti, davvero. Mi vengono in mente Piccoli (oggi alla Fiorentina) e Bastoni. L’avevo detto subito che sarebbe arrivato in prima squadra: così è stato, poi l’Inter e la Nazionale. Quando gioca l’Atalanta sto in tribuna, all’ingresso delle squadre: se li chiamo, vengono e mi abbracciano. Toloi lo faceva sempre, ma anche Sportiello, Rossi, De Roon. Anche chi va via, quando torna a Bergamo, passa sempre».
C’è qualcuno che aspetta di rivedere?
«Alberto Grassi. Lui e la sua famiglia mi hanno lasciato un bel ricordo. Era all’Empoli, ora alla Cremonese. Lo aspetto a Bergamo per un abbraccio».
Si ricordano sempre di lei?
«Al 7° Torneo Mondonico ho incontrato Pierluigi Orlandini, Gianluca Temelin e Marino Magrin: felici di vedermi, hanno voluto una foto insieme. Lo scorso maggio, a un torneo a Villa d’Almè, un signore mi ha fermato: ero stato il suo massaggiatore 27 anni fa».
Cosa le danno ancora oggi questi ragazzini?
«Oggi ho un ruolo diverso: per ragioni d’età non faccio più il massaggiatore e ho un inquadramento più dirigenziale. Seguo l’U13. Mi vedono come un nonno. Quando sei con loro è stupendo: hanno vinto un torneo e hanno fatto cerchio intorno a me gridando il mio cognome. Tutti stretti, saltavano urlando “Tosi, Tosi!”. Indimenticabile».
Tosi uno di loro…
«E continuerò a esserlo. Giuliana Percassi mi ha detto che devo arrivare a 60 anni. Io sono a disposizione: godo di buona salute e ho ancora tanta passione. Voglia di andare avanti, sempre».
Da tifoso, che idea ha dell’Atalanta di quest’anno?
«Per me è ancora forte. Ero allo stadio con mio figlio quando, all’inizio dell’era Gasperini, contro il Napoli, dopo tre sconfitte, aleggiava l’idea dell’esonero. A un certo punto mise Caldara, Conti e Gagliardini: vincemmo, e la storia cambiò. Ha costruito e aperto un ciclo. Quindi: aspettiamo».
Angelo Tosi non è stato “solo” un massaggiatore. È stato, ed è, una carezza silenziosa che accompagna i sogni: una presenza discreta che resta nel cuore anche quando le gambe corrono altrove. Non ha collezionato trofei: ha collezionato affetti. Non ha sollevato coppe: ha cresciuto generazioni. Se oggi i ragazzi dell’Atalanta lo abbracciano ancora chiamandolo per nome, è perché Angelo è parte viva di questa famiglia: l’essenza di un calcio vero, pulito, profondamente umano.
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