Giornalista di lungo corso e oggi responsabile della Segreteria di Presidenza della Federazione Italiana Golf, Maurizio Bucarelli è uno di quei professionisti che del calcio conoscono ogni angolo, dentro e fuori dal campo. L’Atalanta l’ha vissuta da vicino per quindici anni, attraversando stagioni e presidenze e ricoprendo ruoli diversi – dall’Ufficio stampa al Team manager, fino alla Direzione organizzativa e alla presidenza del Comitato per il Centenario – lasciando sempre il segno con stile discreto ed eleganza naturale. Grande conoscitore di calcio, osservatore attento e uomo di relazioni, Bucarelli racconta la sua Atalanta con l’equilibrio di chi ha visto nascere e crescere un modello, ma anche con l’emozione di chi sa cosa significhi far parte di una grande famiglia nerazzurra.
Partiamo da una curiosità. La storia di Maurizio Bucarelli all’Atalanta s’intreccia con quella di tutti i presidenti della società nerazzurra.
«Ho iniziato con i Bortolotti nell’86 - racconta, in esclusiva, ai nostri microfoni di TuttoAtalanta.com -. L’allenatore era Nedo Sonetti: prima Cesare e, dopo la sua morte, il papà Achille per pochi mesi. Poi il primo Percassi, Ruggeri e anche Randazzo».
A quale presidente sei stato maggiormente legato?
«La famiglia Bortolotti non si discute: ha fatto il bene dell’Atalanta e l’ha salvata. In quel periodo c’era anche un azionista con un certo peso, ma defilato: Miro Radici, che poi si unì a Percassi, presidente che già vedeva il futuro. Le cose non andarono bene per divergenze di vedute e subentrò Ruggeri. Il più rappresentativo resta Bortolotti; quello che mi ha dato più soddisfazioni professionali è Percassi».
Si poteva già intravedere quello che ha fatto poi?
«Sì. Percassi aveva tante idee, ma erano troppo avveniristiche per quei tempi e non fu preso in considerazione. Fu lui a cambiare completamente la filosofia del gioco. L’allenatore era Guidolin, che già proponeva un calcio diverso. Fossero stati i tempi di oggi, Guidolin sicuramente non sarebbe stato esonerato, anche perché poi ha dimostrato il suo valore: ha vinto la Coppa Italia col Vicenza e ha fatto bene a Udine e anche all’estero».
Che anni sono stati quelli all’Atalanta?
«All’interno della società ho vissuto alti e bassi. Erano anni in cui l’Atalanta alternava salvezze e promozioni: andava in A e poi retrocedeva in B, anche se infilava lunghe serie positive. Le soddisfazioni maggiori sono arrivate con i campionati in Serie A e le promozioni dalla Serie B, ma su tutto l’emozione più grande è stata la semifinale di Coppa delle Coppe con il Malines: per quei tempi nessuno se l’aspettava. Chi ha vissuto l’atmosfera di quella sera non può dimenticarla. Per l’Atalanta di quel periodo era qualcosa di fuori dal normale riuscire a disputare una semifinale: poi la perdemmo malamente per colpa dell’arbitro».
Hai visto all’opera i più grandi calciatori passati da Bergamo.
«Caniggia, Evair, Strömberg – che è stato il mio capitano – ma anche Garlini, che ci ha lasciato da poco e fu protagonista della semifinale di Coppa delle Coppe».
Secondo te il giocatore più forte tra tutti quelli che hai visto passare in quegli anni chi è stato?
«Tecnicamente Caniggia: non aveva rivali per velocità e senso del gol. È stato un grande. Come uomo spogliatoio Strömberg. Non conosco personalmente De Roon, ma mi dicono che Strömberg sia paragonabile all’attuale capitano dell’Atalanta. Era uomo spogliatoio, oltre a essere un giocatore valido. È l’unico dell’Atalanta che, retrocessa la squadra in B, si decurtò lo stipendio per restare a Bergamo. Un personaggio carismatico, uno che nello spogliatoio si faceva sentire».
L’Atalanta oggi è una società moderna, internazionale, ma sempre con radici profonde. Ritrovi in quest’Atalanta lo spirito che c’era in quegli anni?
«È tutto diverso. Sono due realtà diverse. Entrambe grandi Atalanta, ma non si possono mettere a confronto. Cambiano i tempi e le situazioni finanziarie; diventa difficile fare paragoni. Oggi l’Atalanta è una società che sta bene e può permettersi grandi acquisti. Allora i risultati erano più sofferti».
Vivi gran parte della settimana a Roma. Cosa si dice di Gasperini?
«I suoi rapporti con il pubblico di Roma non erano idilliaci: ha iniziato tra molto scetticismo. Adesso sono primi in classifica. Non ha ancora portato tutta la piazza dalla sua parte, ma pare abbia alle spalle una società disposta a difenderlo fino alla fine. Gasperini ha bisogno di una società forte alle spalle: è un personaggio a volte scomodo, anche nei confronti del club, ma non si espone mai a caso. Esce con certe dichiarazioni al momento giusto. Roma è una piazza che gli si addice».
E invece sul fronte Lazio, nostro prossimo avversario, cosa si dice?
«In Federazione sono circondato da laziali che attendono questa partita. Sono anni che vorrebbero prendermi in giro, ma non ci sono mai riusciti e spero continui così».
La Lazio non è partita benissimo.
«Nel calcio moderno questi discorsi contano poco. La Lazio è una signora squadra, non una di secondo livello».
Non c’è delusione per i risultati ottenuti finora?
«No. La delusione è per il presidente. Ce l’hanno con lui per quanto è successo».
È vero che a Roma si vive di calcio?
«Vado al bar e si parla di calcio. Salgo sul taxi e si parla di calcio. Le radio sono sempre collegate sulle stazioni di Lazio e Roma. Si parla sempre di calcio».
Tornando all’Atalanta, il bilancio finora com’è?
«Io credo che bisognerebbe fare un monumento a Juric, perché accettare di sostituire Gasperini dopo quello che aveva fatto non era semplice. È partito nello scetticismo generale. Tanti erano pessimisti. Ci siamo dimenticati in fretta di cosa eravamo prima di Gasperini. Zitto zitto Juric ha continuato a lavorare, facendo i conti con i tanti infortuni. Sono praticamente due stagioni che spesso giochiamo senza il centravanti titolare della Nazionale, Scamacca. Eppure siamo lì tra le prime nonostante tutto: è un dato di fatto positivo. L’allenatore era nuovo e doveva conoscere la squadra per imporre il suo gioco. Con tutto quello che abbiamo vissuto a Bergamo, essere critici ancor prima dell’inizio del campionato mi è parso fuori luogo».
Dopo la sosta che Atalanta ti aspetti di vedere?
«Arriviamo dalla sosta, ma anche da una partita con il Como che non è certo una squadretta: anzi, è una gran bella squadra. L’Atalanta sta crescendo. Se recuperiamo qualche infortunato, tanto meglio; altrimenti, la rosa mi sembra costruita per avere ricambi sufficienti anche nelle emergenze».
Se dovessi scommettere su un giocatore?
«Credo molto nelle possibilità di Maldini: può diventare un buon giocatore per l’Atalanta. Tecnicamente è bravo, è umile ed equilibrato, e nel calcio conta moltissimo».
L’Atalanta è ancora da Europa?
«Chi si aspetta di vederla ancora in Champions League rischia di sbagliare: prima o poi le grandi recupereranno terreno. In questo momento c’è la Roma che, a differenza di altri anni, non è dietro. Inter e Milan stanno facendo bene. Io firmerei subito per un posto in Europa».
Si è alzato il livello?
«Sì, e in Europa ci vanno sei squadre. Le due milanesi non si discutono. Poi Juventus e Napoli. Ora c’è la Roma. Aggiungo Atalanta e Bologna, che potrebbe crescere ulteriormente. Qui a Roma si vocifera che il presidente della Roma sia pronto a spendere a gennaio: si parla del grande acquisto che serve a Gasperini, Joshua Zirkzee».
I prossimi due impegni: Lazio e Slavia Praga.
«Cominciamo a vincere con la Lazio: potenzialmente, in questo momento, l’Atalanta sta meglio dei biancocelesti. Chiaro che, se si vuole continuare la corsa in Champions, con lo Slavia Praga bisogna vincere».
Una vittoria obbligata, quindi, per proseguire il percorso europeo?
«Sì: per me è la partita chiave per proseguire o meno il cammino in Champions League».
Nel suo modo pacato ma appassionato di raccontare l’Atalanta c’è tutto l’amore di chi l’ha vissuta giorno per giorno, tra difficoltà e successi, salite e ripartenze. Maurizio Bucarelli è uno che il calcio lo capisce, ma soprattutto lo rispetta: elegante nei modi, sincero nei ricordi, resta una voce autorevole e autentica di un pezzo importante della storia nerazzurra.
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