Oggi parliamo di alcune cose. Come settimana scorsa, ma altre cose. Le cose di questa settimana sono abbastanza piccantine, ma dipende dai punti di vista. E comunque mi hanno detto che il livello di attenzione delle nuove generazioni non contempla divagazioni, bisogna essere spicci. E allora saremo spicci.
Quello che è successo a Roma è grottesco. De Rossi fatto fuori per una questione di “numeri che non tornano”. Come se le statistiche fossero tutto. Il calcio non è baseball, le statistiche contano fino a un certo punto. De Rossi è stato cacciato senza un vero perché e se proprio ti sta sui maroni e lo vuoi far fuori, allora scegli un modo che sia più sensato. “Ma loro sono americani, se ne fottono”. Ma fanno calcio in Italia, devono comprenderlo. Cacciare De Rossi in quella maniera significa tirare una pedata a ogni tifoso della Roma e, di conseguenza, significa fare una boiata a prescindere.
Il Milan ha vinto il derby. Per certi versi persino stravinto. E il termine “stravinto” lo utilizziamo perché nei giorni che hanno preceduto la partita suonavamo tutti la grancassa: “Il Milan perderà e Fonseca andrà a casa”. Ecco, è stato il derby di Fonseca, uno che è stato sbertucciato per una settimana intera, non ha mai replicato anche quando un “vaffa” sarebbe stato legittimo, è sceso in campo senza ascoltare chi gli diceva “chiuditi dietro”, ha fatto l’esatto opposto e, oltre a sorprendere i suoi stessi tifosi, ha fregato i dirimpettai. Non capita spesso di vedere l’Inter battuta sul piano tattico, a Fonseca questa cosa è riuscita benissimo. E si merita tutti i complimenti del caso.
Di contro, è arrivata la sconfitta dell’Inter, una roba brutta e poco preventivabile. C’è chi dice “i nerazzurri sono stati supponenti”, io credo che in realtà sia stato tutto conseguenza di un mix di euro-stanchezza (90 minuti micidiali a Manchester), bravura degli avversari (leggi “piano tattico” di Fonseca), incapacità dei subentranti di mantenere o alzare il livello. Qualcuno dice “Inzaghi ha sbagliato i cambi”. Sono opinioni. Il qui presente pensa che, invece, se si vuole arrivare in fondo alle competizioni è indispensabile che tutti diano il loro buon contributo. Sono loro, i subentranti, che devono aumentare il loro rendimento, non l’allenatore che deve aver timore di metterli in campo. Il rischio, altrimenti, è di far giocare sempre gli stessi con pericolosi effetti collaterali (vedi Barella che, guarda un po’, non è uscito dal campo per un capriccio del tecnico).
Ora, la propaganda dei critici è già ripartita: “Inzaghi deve fare così, Inzaghi non sa fare cosà”. Non è bastata una finale di Champions, uno scudetto stravinto, le coppette e le supercoppe, non è bastato neppure vedere l’Inter giocare il suo miglior calcio di sempre, al primo inciampo son tornati a volare gli avvoltoi. È la condizione fetentissima del tecnico di serie A e di Inzaghi soprattutto, uno che anche in questo caso si è assunto ogni responsabilità e – sono opinioni – ha un solo vero difetto: l’eccessiva buona educazione. Simò, ogni tanto mandane affanculo uno a caso preso nel mucchio, magari inizieranno a portarti un minimo di rispetto in più (spoiler: non lo faranno).
Postilla. Che quest’anno il campionato possa essere decisamente più combattuto e che l’Inter non sia destinata alla cavalcata solitaria, è condizione del tutto normale. Del resto siamo in presenza di squadre che, a differenza dei nerazzurri, hanno investito decine e decine di milioni; se non ci fosse un minimo di equilibrio in più, in diverse piazze si dovrebbe parlare di scarsa capacità gestionale.
(Se guardi una partita del Marsiglia e non sai che quello è il Marsiglia, in 5 minuti è possibile che tu comunque riesca dire “Questo è il Marsiglia!”. Badate, questo non significa che De Zerbi avrà la forza per far meglio del Psg, ma è un dato di fatto che in un solo mese di lavoro sia stato in grado di trasmettere al gruppo la sua identità, cosa che gli era riuscita già al Brighton, allo Shakhtar, al Sassuolo, al Foggia. Scusate se è poco).
Milano si è persa la finale di Champions 2027. L’Uefa ha dovuto arrendersi di fronte al fatto che il futuro di San Siro sia del tutto ignoto. La decisione spiega l’imbarazzo generale rispetto a una situazione annosa e grottesca ma, in qualche modo, dice anche che Inter e Milan sono ancora legate all’idea della ristrutturazione del Meazza (viceversa, il Comune di Milano avrebbe detto all’Uefa “fate pure, tanto qui non si scaverà mai”). Morale, siamo in una situazione di totale e imbarazzante “stallo alla messicana”, ma senza Messico.
È ripartita la Coppa Italia con i sedicesimi. I sedicesimi di Coppa Italia sono agghiaccianti. Gli allenatori mettono i titolari solo se li odiano. Altrimenti dentro le riserve. Anche tu hai speranze di giocare, se ti presenti. E questo dipende da una formula da brividi, con le squadre più forti che giocano in casa e spalti che, di conseguenza, son vuoti come conti in banca dopo aver versato le imposte. Quando decideranno di rivoluzionare la coppetta sarà sempre troppo tardi.
E, infine, una cosa su Thiago Motta. C’è chi vuol far passare il tecnico bianconero come un altro Pirlo, un nuovo pirla, un vecchio Allegri “ma meno consapevole”. Eppure la sua squadra ha stravinto all’esordio in Champions e non prende gol neanche per sbaglio (zero reti subite in campionato). “Però ha fatto l’infilata di 0-0 e allora tanto valeva tenersi Allegri”. Come se avesse senso mettere a confronto la resa di un grande allenatore transitato in bianconero 8 anni (5 + 3) con quella di un novello mister in sella da appena sei partite complessive.
Eppure c’è chi lo fa e il motivo è presto detto: far passare per fesso l’ultimo arrivato per dare sostanza al suo predecessore. Motta sta facendo bene, altroché: ha dato una linea (puoi chiamarti Douglas Luiz e costare 50 milioni ma se non corri resti a guardare), pretende il massimo (puoi chiamarti Vlahovic ma se non tocchi palla finisci sotto la doccia al 45’), impone meritocrazia totale (puoi essere vecchio o giovane, puoi chiamarti Danilo o Savona, l’importante è che tu sia funzionale al progetto), se ne frega dei punzecchiatori di professione. E fa benissimo. Pensare di poter giudicare il lavoro di un allenatore ancora “in garanzia” è pratica barbara e comune, il dato di fatto è che ci troviamo di fronte a un tizio che in attesa di far funzionare la fase offensiva, ha dato ai suoi una solidità difensiva che, da sempre, è condizione necessaria per puntare a vincere. Dice il precisino: “Anche Allegri non prendeva gol” ed è vero, ma un conto è farlo pensando che il “primo non prenderle” sia la Stella Polare della propria idea di calcio, altra cosa e riuscirci pensando di “fare gioco”, vero obiettivo del novello tecnico bianconero.
Fine delle prediche.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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