Non è tanto, o non solo, per quell’appuntamento delle 18.00, ogni giorno, che aspettiamo trattenendo il respiro in quei primi 20 secondi in cui il dottor Borrelli parla, e ogni giorno si fa silenzio in ogni casa in attesa di sentire una notizia che ancora non arriva.
Il silenzio delle 18.00 in tutte le case italiane, mentre le strade sono comunque deserte.
Che se Federico Garcia Lorca fosse vivo e in Italia, avrebbe cambiato idea e corretto il suo ‘A las cinco de la tarde’ in ‘Alle sei della sera’.
E’ che quasi ci stiamo abituando. L’incredulità di trenta giorni fa, che poi si è trasformata in panico, e poi in terrore, e poi in tristezza, e per un attimo in speranza, e adesso in delusione, e nei prossimi tre giorni verrà messa alla dura prova. Ma di sottofondo in tutti noi stiamo imparando a convivere con questo incubo. Non che sia un male o un bene, ma sta succedendo così.
E se però non può mai essere una normale accettazione quella di 700 morti al giorno, e di 5mila nuovi infetti, però dall’altro lato sembra quasi che stiamo cercando una nostra sanità mentale, un nostro equilibrio sul precipizio perché si muore un può per poter vivere.
Perché l’uomo che è caduto nel burrone sa che deve accettare di cambiare per riuscire a uscirne.
E non è necessariamente un male.
Perché diciamoci chiaramente quello che tutti hanno intimamente capito: questa cosa durerà mesi.
Sicuramente fino all’estate, con la speranza che a un certo punto dell’estate si possa tornare a riprendersi gradualmente un poco di vita. Ma a sentire ognuno dei più competenti che non vendono illusioni, è una realtà che è cambiata per molto tempo a venire, forse anche un anno, prima di tornare alla normalità che conoscevamo.
E allora il concetto non è ‘state a casa’ come se fosse ‘state intrappolati, non potete uscire, rimanete in prigione’.
No.
Il concetto è ‘state al sicuro’ perché fuori purtroppo il virus resiste fino a 3 ore nell’aria. E dunque ‘state a casa’ è stare al sicuro.
Inizia adesso, ed è lunga. Come una dieta monstre che si gioca sui mesi (e chi scrive non parla per sentito dire), come un lungo percorso di purificazione, come un viaggio di pazienza.
Dobbiamo accettare questo.
Non pensare adesso a quando finirà, perché ci vuole il tempo che ci vuole.
Ma concentrarci su quello che serve, ogni giorno, perché per un po’ bisogna stare al sicuro.
Posso capire che non sia facile.
Guardandoci da Londra, un collega inglese direttore delle news del canale nazionale ITV, Geoff Hill, mi ha inviato una cosa: “Forse questo può servire agli italiani per avere l’atteggiamento giusto nel rimanere in casa, al sicuro. Anche se tra poco credo servirà più a noi” mi ha detto.
Lui poco tempo fa è stato operato di leucemia, ed ha dovuto in seguito passare tre mesi confinato in casa per proteggere le sue barriere immunitarie basse. Non solo: ha dovuto selezionare gli incontri con chiunque anche solo soffrisse di un raffreddore. E quando ha cominciato a poter uscire, è dovuto stare estremamente attento ad evitare ogni luogo dove potesse essere troppo prossimo con qualcuno, perfino nei ristoranti scegliendo solo posti dove un tavolo avesse spazi vuoti attorno.
Insomma, praticamente quello che dobbiamo fare noi adesso.
Limitazioni che quando toccano solo te peraltro possono essere particolarmente umilianti e frustranti, mentre noi abbiamo il vantaggio del condividere tutti questa sorte.
Ma la sua chiave, per quanto possa sembrare scontata, è l’unica logica che conta: prima viene accettato come normalità questa situazione anormale; meglio viene vissuta e portata avanti - e, in questo caso, anche ci può portare a una fine del tunnel da raggiungere più velocemente.
La sfida non è al virus: ma a noi stessi.
Ci adattiamo più velocemente solo nel momento in cui accettiamo che tutta la normalità è da ridiscutere.
Vale la pena rischiare la propria incolumità - perché di questo si tratta - per togliersi la voglia di una passeggiata, di una bevuta?
La vita adesso va così, un giorno cambierà, ma adesso la priorità è vivere oltre questo periodo.
Fuori dalla nostra soglia di casa c’è un rischio. E’ duro da dire, ma è così.
Certo, c’è sempre stato andando in giro, per strada come nella vita. Ma questa volta la soglia di rischio si è abbassata. E quindi la priorità è essere accorti nel tenere la propria vita al riparo dal ritrovarsi in fin di vita a causa di una polmonite, sic et simpliciter.
Torneremo a fare un sacco di cose, ma ci vorrà un po’ di tempo.
Non so quanto lungo, ma sicuramente non breve.
Accettiamolo, e e la frustrazione farà spazio alla costanza.
Quasi come un gioco: perché la vita è bella, e vale proprio la pena di essere vissuta.
E’ appena cominciata. Mettiamoci in viaggio.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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