Padre originario di Almenno San Bartolomeo, ma nato e cresciuto in Svizzera, Dario Rota ha respirato calcio sin da bambino tra Mendrisio, Chiasso e Locarno, fino a diventare professionista con Lugano e Lucerna, arrivando a vestire anche la maglia della Nazionale svizzera. Oggi vive a Chiasso, ma il cuore è sempre rivolto a Bergamo. Atalantino da sempre — «dai tempi di Cantarutti e Garlini» —, Rota segue la Dea con la stessa passione di allora, con l’occhio esperto di chi il campo lo conosce bene ma il cuore di chi non ha mai smesso di sentirsi parte della sua gente.
Dario, la passione per l’Atalanta quando nasce?
«La passione per la Dea c’è da sempre e mi piace sottolinearlo - confida, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -, perché è stato troppo facile tifare Atalanta negli ultimi nove anni. Io sono atalantino dai tempi del Malines, di Cantarutti, di Garlini. Andavo già allo stadio con mio fratello Nani. La passione per il calcio l’ho trasmessa a mia figlia Lucrezia (in calce le foto con lei, ndr), che appena può viene con me al "Brumana" — lo chiamo ancora così perché per me rimane quello (sorride, ndr). Lei studia a Ginevra e quindi non sempre riesce a esserci».
Hai giocato nel Lugano e nel Lucerna, ma anche nella Nazionale svizzera. A un certo punto, nella stagione 2000-2001, c’è stata la possibilità di approdare nel campionato italiano.
«Mi aveva cercato il Lecce, in Serie A. L’allenatore era Delio Rossi. Io quella stagione giocavo a Lugano ed eravamo campioni d’inverno. Ero il capitano e c’era la possibilità concreta di vincere il campionato, così il presidente non mi lasciò andare. Avevo trent’anni. A Lecce sarei andato anche a piedi. Ci ho sperato fino all’ultimo giorno di mercato, ma non se n’è fatto nulla, anche se Corvino mi voleva. La società non ne ha voluto sapere. Sono rimasto e a fine campionato siamo pure arrivati secondi. Oltre al danno, la beffa. Senza nulla togliere al Lugano, per me poteva essere l’occasione della vita. Magari non andava bene, magari sì. Tra l’altro avevo un mister che aveva allenato in Italia, Roberto Morinini. Aveva compreso la mia situazione e si era anche adoperato per aiutarmi, ma nemmeno lui ha potuto fare nulla. Ho anche un aneddoto che lo riguarda: al mio arrivo a Lugano mi sono presentato in campo con la cuffia dell’Atalanta, quella delle Brigate Nerazzurre. Lui mi ha guardato e mi ha inquadrato subito come un ultrà».
Tu vivi in Svizzera: negli anni è cambiata la percezione dell’Atalanta all’estero?
«Il numero di tifosi è cresciuto grazie ai successi degli ultimi anni, e la cosa che noto ogni volta che vengo allo stadio di Bergamo è la numerosa presenza di tifosi stranieri che seguono la squadra».
Anche domenica eri allo stadio. Che sensazioni hai avuto?
«Dopo la prestazione di Marsiglia, mi aspettavo un cambio di rotta anche in campionato e una partita completamente diversa. Io sono sempre presente nelle partite casalinghe e ho fatto anche qualche trasferta, vedi quella di Parma. Abbiamo sempre regalato un tempo agli avversari. Il nostro è un possesso palla sterile. In Atalanta-Lazio, il primo tiro in porta è stato quello di Zappacosta al quarantaduesimo. Non sono cose da Atalanta. Con il Marsiglia è stato diverso. Avremmo anche potuto perdere, ma avevo ritrovato l’Atalanta che conosciamo tutti, tanto che con il Sassuolo avevo pronosticato un 3-0 per noi alla mezz’ora e partita finita. Invece è tornata l’Atalanta di queste prime partite di campionato, e penso se ne sia resa conto anche la società, che infatti ha esonerato l’allenatore».
Secondo te cosa non andava? È un problema di condizione fisica, mentale, di gruppo o di alchimia con la squadra?
«Da fuori è difficile giudicare. Credo che Juric, giustamente, abbia voluto dare la sua impronta, ma alcuni giocatori sono veramente irriconoscibili e a lungo andare, anche se sono passate solo undici giornate, qualcuno gli è andato contro».
Secondo te la squadra remava contro l’allenatore?
«È brutto da dire, ma faccio un esempio banale. Zalewski inserito a cinque minuti dalla fine o Brescianini utilizzati col contagocce: per me sono cambi che ti danno l’idea di un allenatore spaesato, che non aveva in mano lo spogliatoio sotto questo aspetto. Obiettivamente la rosa è buona. Ci sono giocatori che potrebbero giocare in ogni squadra. Fare turnover è sempre difficile, se poi non ottieni nemmeno risultati è anche peggio. Sono convinto che a Bergamo, dopo quello che ha fatto Gasperini nei suoi nove anni, sarà complicato anche per chi arriverà ora, ma così stavamo correndo il rischio di buttare via tutto quanto di buono fatto — che magari non si ripeterà più. Era giusto voltare pagina, anche se mi dispiace per Juric, perché così non si poteva andare avanti».
Così come?
«Giocatori sfiduciati. Con il Sassuolo, a un certo punto ho visto Ederson allargare le braccia in segno di rassegnazione. Ahanor e Kossounou portavano palla, ma non c’era nessuno».
Certo è che se anche la moglie del capitano lascia la squadra in anticipo e pubblica una storia sui social scrivendo “Houston, we have a problem”, qualche dubbio è lecito.
«De Roon avrà anche un anno in più e avrà avuto qualche problemino a livello fisico, ma dà sempre l’anima. Se cominci a lasciar fuori un capitano così, qualcosa non quadra».
È lui che ora deve farsi carico della squadra? O chi altro?
«Ora i giocatori non hanno più alibi. Devono fare cerchio. Quello che conta è l’Atalanta e devono mostrare anche loro di aver voglia e grinta. Di esserci».
Certo è che chi arriva ora avrà l’eredità di Juric e non più di Gasperini. Più facile?
«Avrà il leggero vantaggio di essere paragonato a Juric invece che a Gasperini, ma non sarà facile nemmeno per chi arriva. L’eredità di Gasperini resta ed è pesante. Ma c’è tutto il tempo per recuperare, mettersi al lavoro, approfittare della sosta e andare a Napoli con la consapevolezza che pure loro stanno sotto un treno. Conte ha acceso la miccia, perché lui è bravo pure a fare questo. Per me c’è ancora tempo per rientrare nel giro dell’Europa e non dimentichiamoci che, al contrario del campionato, in Champions siamo messi bene. C’è tempo, ma non bisogna più sbagliare».
Quindi a fine campionato dove ti aspetti di vedere l’Atalanta?
«Adesso siamo abituati troppo bene. Io ricordo che andavo a vedere Atalanta-Palermo in Serie B. Anche se per un anno restiamo fuori dall’Europa, dispiace, ma ci può anche stare se si è combattuto fino alla fine, se si è sudato per la maglia. Il calcio è fatto da tanti fattori e da tanti episodi, ma se dai l’anima e muori in campo, nessuno ti dirà mai niente. Non c’è la Fiorentina quest’anno, ma c’è il Como, c’è il Bologna. Pure le altre squadre vogliono qualificarsi per l’Europa, anche per una questione economica. Quindi non è facile e nemmeno scontato, ma così non andava più bene. Era una situazione brutta da vedere a livello di gioco. Anche con Gasperini facevamo possesso palla, ma andavamo a mille all’ora. Ora, invece, siamo sempre sotto ritmo e la squadra non è cambiata così tanto dall’anno scorso o da quella che è scesa in campo nella finale di Europa League».
Forse manca qualcosa in attacco?
«Non sono d’accordo. Se con il Sassuolo Lookman l’avesse messa dentro, siamo sicuri che la partita sarebbe cambiata? Io non concordavo con Juric quando parlava di belle prestazioni a cui mancava solo il gol. Abbiamo sbagliato qualche occasione che poteva darci punti in più, ma non cambiava nulla a livello di gioco. Il problema veniva solo rimandato».
Il sostituto di Juric dovrebbe essere Palladino. È la scelta giusta?
«Personalmente, da tifoso, avrei preferito Thiago Motta, ma va bene. Ridendo e scherzando, io avrei preso Nedo Sonetti: avrebbe ribaltato lo spogliatoio».
Due settimane per lavorare e dopo la sosta si va a Napoli. Che Atalanta ti aspetti di vedere?
«A Napoli abbiamo sempre fatto ottime partite. Sono fiducioso anche stavolta. Anche loro sono in crisi perché si aspettavano un altro campionato. Io stesso vedevo il Napoli tra le favorite, ma il calcio è strano. L’anno scorso con 13-14 giocatori Conte ha fatto benissimo, mentre con una rosa praticamente raddoppiata si trova in difficoltà. L’Atalanta dovrà fare affidamento su una carica ritrovata dallo scossone dovuto all’esonero di Juric. Al di là del risultato, io mi aspetto di vedere la squadra tornare a fare prestazione. Finora ho visto giocatori smarriti. Mi aspetto che non accada più».
Parole da vero tifoso, quelle di Dario Rota. Uno che di calcio se ne intende ma non dimentica da dove tutto è cominciato: la passione, le trasferte, l’attaccamento ai colori nerazzurri. Per lui l’Atalanta resta una questione di cuore, prima ancora che di risultati. E non importa dove sarà a fine stagione: l’importante è rivedere grinta e fame. Perché l’Atalanta, per chi la ama davvero, è questo — anima, sudore e identità.
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