Ci sono persone che per raccontarsi usano le parole, e altre che parlano con il cuore. Ferdinando Tissone, argentino, ex centrocampista nerazzurro per due stagioni — dal 2006 al 2008 con 71 presenze e 6 gol — appartiene alla seconda categoria. Educato, rispettoso, sempre misurato nei toni, ha attraversato il calcio con quella gentilezza che sorprende, in un mondo dove nulla va dato per scontato. Una carriera in Serie A tra Atalanta, Udinese e Sampdoria, costruita con sacrificio e umiltà, che nei tifosi ha lasciato un ricordo sincero e duraturo. Lo scorso venerdì era a Bergamo, tra emozione e nostalgia, per la festa dei 118 anni della Dea. E in quell’occasione ha realizzato un sogno: vedere una partita dalla Curva Nord, accanto a quella gente che un tempo lo applaudiva dal campo.
Ferdinando, ricordi il tuo arrivo a Bergamo?
«Dal primo momento ho capito di aver fatto la scelta giusta - confida, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -. Non era stato semplice: arrivavo dall’Udinese, dove avevo giocato la Champions League, e l’Atalanta era neopromossa. Ma la società mi aveva fortemente voluto, soprattutto Stefano Colantuono, che mi chiamava spesso. Arrivai a fine mercato e alla prima partita di Coppa Italia fui travolto dal calore dell’ambiente. Mi accolsero benissimo: la squadra era forte, con giocatori di livello come Ventola, Donati e Doni. Abbiamo fatto un campionato straordinario, lottando per l’Intertoto, e l’anno successivo, con Del Neri, arrivò la mia consacrazione: 36 presenze, di cui 33 da titolare. Un’altra stagione bellissima».
Poi il ritorno a Udine.
«Ero in comproprietà e alle buste l’Udinese offrì di più. È stata una stagione sfortunata, condizionata dagli infortuni. Sarei rimasto volentieri a Bergamo, senza nulla togliere all’Udinese. L’Atalanta per me è stata una tappa fondamentale: lì sono diventato un calciatore vero, affermato in Serie A. Ho vissuto momenti intensi, che porterò sempre con me, come uomo e come padre».
Oggi Bergamo è ancora la tua seconda casa?
«Forse lo è più dell’Argentina, dove non torno dal 2019. Tra Bergamo e Milano ho tanti amici e persone care che mi vengono a trovare anche a Malaga. È un legame fortissimo, fatto di amicizia e affetto sincero».
A Malaga di cosa ti occupi?
«Lavoro in un centro di formazione sportiva, il PFC Costa del Sol, tra i più importanti per ritiri e preparazioni di squadre professionistiche. Insieme a mio fratello Cristian e al figlio del professor Ortega, ex preparatore dell’Atletico Madrid, alleniamo giocatori nelle pre-season estive e durante le soste per le Nazionali. Collaboriamo anche con nutrizionisti e mental coach. Io ho conseguito il patentino Uefa B a Coverciano e conto di fare presto anche l’Uefa A. Forse non sarò un allenatore a tutti gli effetti, ma resterò sempre nel calcio».
Il tuo ricordo più bello in maglia nerazzurra?
«Ce ne sono tanti, ma su tutti il gol al Milan campione del mondo. Un’emozione indescrivibile, uno di quei momenti che ti restano dentro per sempre. L’Atalanta per me è passione, identità, emozione pura».
Chi ti ha lasciato di più durante le due stagioni a Bergamo?
«Difficile dirlo. Ho avuto due allenatori che mi hanno dato fiducia. Con Colantuono non ero titolare fisso, ma ero il giocatore che entrava più spesso a partita in corso: sentivo che credeva in me. Con Del Neri, invece, arrivò la mia conferma. Importante anche la fiducia della dirigenza e del presidente Ruggeri. Avevo 20 anni e attorno a me tante persone che mi sostenevano. A quell’età, in A, eravamo pochi: solo io e Marino Defendi».
Nel 2019 c’è stata una piccola possibilità di tornare all’Atalanta. È vero?
«Sì, una possibilità c’è stata, anche se non direttamente con me: la società aveva parlato con un procuratore, che riferì a mio padre, che è sempre stato il mio agente. Era fine mercato, un momento delicato. Io ero a Bergamo in attesa, ma alla fine non se ne fece nulla. Mi è dispiaciuto molto».
Venerdì eri alla festa per i 118 anni della Dea. Che emozioni hai provato?
«Tantissime. Rivedere ex compagni, mister Colantuono e tante leggende dell’Atalanta è stato bellissimo. C’era una folla incredibile, con migliaia di tifosi accorsi per la statua dell’Europa League. È stato un momento di grande orgoglio».
Il giorno dopo eri in Curva per Atalanta–Lazio. Un’esperienza nuova.
«Sì, era un sogno che avevo da tempo. Ho chiesto ai ragazzi della Curva di aiutarmi a realizzarlo e così è stato. Mi sono piazzato dietro la porta, in mezzo ai tifosi. È stata la prima volta e una delle esperienze più belle della mia vita. La prossima volta voglio tornarci con la mia famiglia».
C’è una caratteristica che, secondo te, ha sempre contraddistinto l’Atalanta?
«Il fatto che squadra e città siano una cosa sola. C’è una frase che lo dice tutto: “L’Atalanta è Bergamo, Bergamo è l’Atalanta”. È un’identità unica. Anche nei momenti difficili, la società trova sempre la forza per rialzarsi. L’Atalanta è cresciuta con serietà, lavoro e visione. La statua dell’Europa League è il simbolo di tutto questo percorso».
Atalanta–Lazio: si è persa un’occasione?
«Forse sì, ma nel secondo tempo l’Atalanta ha fatto una grande partita. Tante occasioni nitide: meritava la vittoria».
Che stagione ti aspetti dai nerazzurri?
«Dopo il cambio di allenatore non era facile, ma l’Atalanta è forte e ha una tifoseria che non molla mai. Juric è preparato, e la società solida. Con questi ingredienti si può arrivare lontano. Credo che la squadra abbia tutto per chiudere in zona Europa».
Chi saranno le principali avversarie nella corsa europea?
«È presto per dirlo: molte squadre hanno cambiato guida tecnica. Roma, Lazio, Fiorentina, Milan, Inter... anche la Juve con Tudor riparte da zero. Ma guardando l’Atalanta e la sua rosa, può lottare fino alla fine».
Era più forte il tuo centrocampo o quello di oggi?
«Domanda difficile. Io avevo compagni come Donati, Migliaccio, Bernardini, Guarente, De Ascentis e Padoin. Tutti giocatori di grande livello, che hanno fatto carriere importanti. Quelli di oggi sono fortissimi, ma anche il nostro centrocampo era un reparto di assoluto valore».
Il prossimo turno con la Cremonese può essere quello giusto per tornare alla vittoria?
«Speriamo. Tutti si aspettano un successo dell’Atalanta, ma oggi nel calcio nulla è scontato. Basta guardare il Como, che ha battuto la Juve dopo 70 anni. L’equilibrio è totale, ma è anche il bello di questo sport».
E in Champions, con lo Slavia Praga?
«Per me l’Atalanta vincerà. Sono più ottimista rispetto al campionato. In Europa ha sempre dimostrato di saper esaltarsi».
Ti convince il nuovo formato della Champions League?
«No, onestamente no. Prima era più equilibrata. Giocare andata e ritorno dava più senso: potevi rifarti, vivere la doppia sfida. Ora è più spettacolare, forse più redditizia per chi la organizza, ma meno affascinante per noi ex giocatori e per i tifosi. A me mancano le trasferte doppie, la possibilità di vivere la competizione come un vero confronto».
Quindi il calcio di oggi ti piace meno?
«Alcune cose sì, altre meno. Capisco la necessità di innovare, ma spero non si perda mai la dimensione umana dello sport. Alla fine, il calcio è emozione, come quella che ho rivissuto in Curva con la gente dell’Atalanta».
Oggi Ferdinando Tissone vive a Malaga e lavora nel calcio con la stessa calma e dedizione di sempre. Ma quando parla dell’Atalanta, la voce si scalda, come se un pezzo del suo cuore fosse rimasto a Bergamo. Il suo racconto è quello di un uomo autentico, fedele ai propri valori, che ha trasformato le difficoltà in forza e la gratitudine in un modo di vivere.
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