Questa volta, nessuno è sceso sul ring. A ciascuno il suo, d'altra parte: ogni tecnico ha diritto a scegliere il modo in cui allenare, tenere alta la tensione, vincere. L'Inter torna ad alzare lo scudetto tre anni dopo l'ultima volta: da Antonio Conte a Simone Inzaghi. Stesso modulo di riferimento, ma non potremmo immaginare un approccio diverso alla squadra e alla comunicazione.
Dal ring… L'immagine di Conte e Lautaro che si mandano a quel paese, con Oriali che prova inutilmente a fare da paciere, resta una delle più famose della cavalcata dell'Inter 2020/2021. La vicenda si chiuse subito in un clima goliardico: il tecnico e l'attaccante su un ring costruito ad hoc alla Pinetina, Lukaku a fare da speaker. Altri tempi. Tenere tutti costantemente sulle spine, del resto, è uno dei marchi di fabbrica dell'allenatore salentino, noto per martellare i propri giocatori, molti dei quali hanno peraltro sempre apprezzato il suo modo di porsi alla squadra.
…alla forza tranquilla. Con Inzaghi, la necessità di un ring sarebbe francamente inimmaginabile. Non è un caso che, già a Coverciano, l'allenatore nerazzurro abbia portato, ormai qualche anno fa, una tesi tutta incentrata sul rapporto con la squadra e sulla gestione del conflitto nell'ottica di minimizzarlo, di trasformarlo in qualcosa di positivo. Se l'Inter di Antonio è stata rabbia agonistica oltre qualsiasi avversario, quella di Simone ha vinto col sorriso sulle labbra. Dentro e fuori da Appiano: di Conte all'Inter si ricordano anche le polemiche mediatiche, la più celebre in tv con Fabio Capello. Per restare in tema di mostri sacri, Inzaghi è stato spesso nel mirino di Arrigo Sacchi, ma ha sempre reagito con la pacatezza di chi, alla fine, il traguardo ce l'aveva preciso.
E sul campo? Il modulo è lo stesso, quel 3-5-2 che proprio Conte ha imposto alla Serie A ormai più di un decennio fa. Inzaghi fu chiamato anche per questo, per dare continuità tattica al progetto del proprio predecessore. Con parecchie differenze, che abbiamo analizzato anche aiutandoci coi dati di Comparisonator. Scudetto a parte, il risultato è molto simile: l'Inter di Conte e quella di Inzaghi segnano più o meno lo stesso numero di gol (2,34 a partita contro 2,41), con la stessa quantità di xG (2,17 a 2,18 in media). La principale differenza sotto questo profilo è legata ai gol subiti: Conte chiuse con una media di 0,92 a partita, Inzaghi viaggia su un ben più solido 0,53 che è forse il dato più clamoroso della sua Inter.
Una sostanziale differenza nella costruzione del gioco, che Inzaghi ha "abbassato" ancora di più rispetto al suo predecessore, riguarda le fasce. Questa Inter costruisce molto di più sulla sinistra con l'asse Bastoni-Mkhitaryan-Dimarco, mentre quella di Conte - vedasi le heat map in basso - era più equilibrata avendo Hakimi e Perisic, semmai con una leggera predilezione per la fascia destra. I singoli, d'altronde, sono un fattore: nel 2021 l'Inter dribblava molto di più, in media 13,45 riusciti a partita contro i 9,94 attuali, una differenza del 24 per cento. Un'altra differenza cruciale è legata all'approccio al recupero palla. Se è vero che con Conte gli episodi di alta pressione erano molti di più (26,53 in media ogni 90 minuti contro 13,75), la sua Inter supera quella di Inzaghi quanto a intercetti (37,97 in media a partita contro 34,59) ma perde nel recupero palla nella metà campo avversaria (26,13 in media a gara con Inzaghi, contro 23,39). Oggi, in sostanza, i nerazzurri (pur applicando un pressing meno feroce) vanno a prendersi la sfera molto più in alto nel campo dell'avversario, e questo stressa meno la fase difensiva, oltre a procurare più azioni da gol. Non è un caso se gli xGA, ovvero gli expected goal contro, siano crollati da 1,33 a 0,91 in media. Pressoché trascurabili le differenze relative alla quantità dei passaggi effettuati in media a partita.
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