Dietro la scorza dura del difensore e l'autorevolezza del tecnico, c'era un uomo capace di parlare con i fatti, lasciando che fossero l'esempio e la coerenza a tracciare la strada. Nel momento del dolore più acuto, è Gabriele Perico a prendere la parola per dipingere il ritratto più intimo e vero di Eugenio. Terzo dei quattro figli e unico ad averne raccolto l'eredità calcistica sul campo, "Lele" affida ai ricordi il compito di colmare il vuoto, raccontando un padre che è stato maestro di calcio, ma soprattutto di vita, prima che una malattia crudele iniziasse a spegnerne la luce troppo presto.
UN MODELLO DI COERENZA – Non servivano lunghi discorsi a casa Perico. La filosofia di Eugenio era scolpita nella pietra della quotidianità. «È stato la mia fonte d'ispirazione», confessa Gabriele con la voce rotta dall'emozione ai microfoni de L'Eco di Bergamo a Federico Errante, che proprio "Lele" lo ha conosciuto sul campo e da vicino, perchè ex Addetto Stampa dell'AlbinoLeffe. Un uomo che poteva apparire burbero all'esterno, ma che nascondeva un senso di giustizia incrollabile. «Poche parole, tanti fatti. Nel suo modo di essere è sempre stato un faro di correttezza». Un esempio che oggi brilla ancora di più, nonostante l'epilogo drammatico degli ultimi anni: «Sono stato fortunato ad averlo, anche se la malattia me l'ha portato via nel modo peggiore possibile».
QUEL COGNOME SULLA MAGLIA – Classe 1984, una carriera costruita su quella stessa fascia destra arata dal padre, Gabriele ha vissuto momenti che hanno intrecciato la storia delle due generazioni. Come quel giorno indimenticabile dell'esordio in Serie A con il Cagliari. In quell'occasione, Eugenio si lasciò andare a una rara concessione sentimentale: «Mi disse che era bello vedere il cognome Perico stampato sulla maglia, ricordando che ai suoi tempi c'erano solo i numeri dall'1 all'11». Ma la dolcezza durò un attimo, subito rimpiazzata dalla mentalità orobica: «Puntualizzò subito: "Guarda che non hai fatto ancora niente". Era il suo stile: zero complimenti e testa bassa a guardare avanti».
ALLENATORE E PADRE: UNA DOPPIA SFIDA – Lele ha conosciuto Eugenio anche nella veste di tecnico, in quella formidabile squadra degli Allievi Nazionali che ha sfornato talenti del calibro di Pazzini, Belotti, Lazzari e Pià. Una situazione non semplice da gestire per un figlio. «Averlo come mister è stato un orgoglio, ma anche una responsabilità enorme», ammette. In due anni le sconfitte si contarono sulle dita di una mano, ma guai a non rispettare gli standard: «Ricordiamo tutti come prendeva i rari passi falsi o le vittorie giocate male. Sapevo che mi aspettava una settimana difficile a casa e i compagni mi davano solidarietà». Ma in campo, nessuna scorciatoia: «Mi tartassava più degli altri. Era il suo modo per far capire al gruppo che non esistevano favoritismi o preferenze».
IL LEGAME CON ROLANDO BIANCHI – In queste ore di lutto, il telefono di Gabriele non ha mai smesso di squillare, ma un messaggio ha toccato corde particolari. È quello di Rolando Bianchi, che con Eugenio ha condiviso un percorso fondamentale. «Ci tengo a ringraziarlo di cuore», sottolinea Lele. L'ex bomber non è solo un ex allievo riconoscente, ma «una persona speciale, legatissima a mio padre, a cui ha sempre attribuito i meriti della sua grande carriera. Ci è stato vicino anche nei momenti più complessi».
Eugenio Perico se n'è andato come ha vissuto: lasciando un segno profondo in chi restava. E se oggi Zingonia piange il suo maestro, Gabriele può guardarsi allo specchio e vedere riflessi quegli stessi valori di coerenza e integrità. L'eredità più bella, che nessuna malattia potrà mai cancellare.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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