Tutto bellissimo, sì. Le luci, gli applausi, i racconti, gli ex, le maglie, i messaggi e la commozione. Ma il momento più vero, più potente, più bergamasco di tutti non è stato sul palco. È comparso in un video: quello che mostrava la realizzazione della statua della Coppa. Non le immagini di Dublino, ma il lavoro dietro, la polvere, le mani.

UN GESTO TUTTO BERGAMASCO – Due tifosi, Nicola Trapattoni e Cristoforo Giorgi, uno marmista e l’altro imprenditore edile, si sono messi all’opera senza aspettare nessuna “commessa ufficiale”. Niente bandi, niente permessi, niente clamori. Solo una maglietta che omaggia il Bocia, un trapano, uno scalpello e quell’aria tipica di chi “vive di lavoro, pane e Atalanta”. Hanno tirato su un monumento come si tira su un muro di casa: con la testa bassa e la determinazione di chi non aspetta che le cose accadano, ma le costruisce.

LA FILOSOFIA DELLA MAGLIA SUDATA – È la sintesi perfetta di ciò che siamo. La filosofia bergamasca nella sua forma più pura: il lavoro che non cerca riflettori, ma che lascia segni concreti. Però, attenzione, non si tratta solo di fatica e sudore. Perché l’essere bergamaschi non si esaurisce nel lavoro: serve il cuore, serve un motivo. E quella dedica incisa nella pietra lo racconta meglio di mille parole: «A chi l’ha sempre sognata e non ha potuto viverla».

LA DEDICA CHE UNISCE – È lì che la pelle d’oca diventa inevitabile - rivivere e ripercorre Il Corriere di Bergamo -. Perché ognuno di noi ha qualcuno — un familiare, un amico di stadio — che non ha potuto vedere ciò che mai nessuno aveva nemmeno osato immaginare: l’Atalanta campione d’Europa. È a loro che quella statua parla. A chi c’era e non c’è più, a chi ha sperato, sognato, sofferto, amato questi colori come una seconda pelle.

UN RICORDO PERSONALE – Tornando a casa, c’è chi ha aperto il proprio piccolo santuario nerazzurro. Un sottoscala, un altare domestico di sciarpe, biglietti e ricordi. Lì c’è anche una foto, quella dell’amico Martino, scomparso l’anno in cui arrivò Gasperini. È allo Stadium, in un giorno in cui l’Atalanta prendeva tre gol. E rideva, mostrando con le dita proprio quel numero: tre. Gli stessi tre che, anni dopo, la Dea avrebbe rifilato al Bayer Leverkusen a Dublino.

È tutto lì: il cerchio che si chiude, la memoria che diventa marmo, la fede che resiste al tempo. È la storia di una città che non smette mai di lavorare, sognare e ricordare. Una Bergamo che non celebra solo una Coppa, ma il valore di chi l’ha resa possibile, anche solo amandola da lontano.

Sezione: Rassegna Stampa / Data: Dom 19 ottobre 2025 alle 11:37
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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