Sergio Floccari non ha bisogno di presentazioni. Attaccante vero, capace di unire tecnica e spirito di sacrificio, è stato uno dei protagonisti più apprezzati della Serie A negli anni Duemila, indossando anche la maglia dell’Atalanta, quella che ancora oggi definisce «un punto di svolta». In un’intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport, l’ex centravanti calabrese ha ripercorso la sua carriera, parlando dei sacrifici, dei momenti difficili e di un rimpianto soltanto: la Nazionale.
IL SOGNO AZZURRO MANCATO – Floccari non cerca scuse, ma racconta con la schiettezza di chi ha vissuto il calcio con passione autentica: «Il mio unico rimpianto è la maglia dell’Italia. Troppo facile dire oggi “ci saresti stato di sicuro”. Ai miei tempi, per entrare in Nazionale, serviva che scoppiassero epidemie tra gli attaccanti». Una battuta amara che racconta un’epoca: quella di un calcio ricco di campioni e di concorrenza spietata, in cui i bomber “silenziosi” come lui restavano spesso nell’ombra.
DALLA CALABRIA ALLA SERIE A – La storia di Floccari nasce in Calabria, terra che gli ha dato radici e carattere ma non opportunità. «Da noi non venivano gli osservatori – ricorda –. Per allenarmi facevo oltre cento chilometri fino a Catanzaro e altrettanti per tornare a casa». Chilometri di strada, di sudore e di sogni, percorsi con l’incoscienza di chi non conosce la parola resa. L’assenza di strutture e di supporto per i giovani calciatori del Sud, confessa, è stata una delle sue più grandi battaglie: «Oggi è migliorato qualcosa, ma allora era davvero dura farsi notare».
MONTEBELLUNA, IL PERIODO PIÙ DURO – Prima di esplodere, però, arrivò la prova più difficile: l’esperienza al Montebelluna. Un anno di sacrifici e solitudine che avrebbe piegato molti, ma non lui. «Non avevo amici, giocavo pochissimo ed ero l’unico che veniva da fuori – racconta –. Vivevo ospite da una signora, lontano da casa, con poche occasioni per dimostrare il mio valore». Un periodo in cui, ammette, ha pensato anche ad altro: «Mi ero iscritto all’università, ma non ho mai dato un esame. Non contemplavo la possibilità di non arrivare: non ci ho mai pensato».
L’ATALANTA NEL CUORE – Quando parla dell’Atalanta, la voce di Floccari si scalda. «Con la maglia della Dea ho trovato Delneri allenatore e un ambiente ideale. Stavo benissimo, sentivo che era il mio posto». Una parentesi breve ma intensa, interrotta da una decisione di mercato: «La società scelse di cedermi al Genoa, ma Bergamo resterà sempre speciale. Lì ho capito cosa significa lavorare per una squadra che vive di calcio, che cresce i suoi giocatori e li fa diventare uomini».
LA FORZA DELLA DETERMINAZIONE – La storia di Floccari è quella di un uomo che non si è mai arreso, anche quando il destino sembrava suggerirgli di fermarsi. La sua carriera è stata un crescendo di esperienza, gol e sacrificio, ma soprattutto di valori. La fame, la dedizione e la perseveranza gli hanno permesso di raggiungere la Serie A partendo da zero, senza scorciatoie né appoggi.
Oggi, a distanza di anni, Sergio Floccari è il simbolo di un calcio che non si misura solo in numeri ma in resilienza. Dal Sud alla Serie A, dall’anonimato alla ribalta, ha dimostrato che il talento può nascere anche lontano dai riflettori. «Non ho rimpianti – dice –. Solo gratitudine per il percorso che mi ha reso quello che sono». Una frase che racchiude la sua essenza: quella di un uomo che ha fatto del sacrificio la sua vittoria più grande.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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