Dopo 22 partite di campionato il Napoli ha già conquistato gli stessi punti con cui ha concluso la scorsa Serie A. Dopo il momento più delicato della sua gestione, dopo aver salutato la Coppa Italia e poi riperso contro la Lazio anche in campionato, Antonio Conte ha inanellato una serie di sette successi consecutivi tutt'altro che banali: nelle ultime quattro giornate ha vinto sia a Firenze che a Bergamo, ha ospitato la Juventus e l'ha battuta 2-1 dopo un primo tempo che lasciava presupporre tutt'altro. E al termine di una ripresa esaltante, la migliore della sua gestione.
La scivolata di Politano su Kolo Muani prima di crollare esausto, il tentativo di recupero con la testa di Simeone quando è già steso a terra, la cornice sognante del Maradona. Sono tutte fotografie che spiegano cosa è diventato il gruppo Napoli con Conte in panchina. Ma nel Napoli di Conte c'è ormai anche tanto altro, soprattutto una squadra coraggiosa che sabato pomeriggio ha battuto la Juventus sul piano strategico e agonistico. La capacità di arrivare per primi sul pallone, quella di saper leggere la partita tatticamente, hanno fatto la differenza. E se al termine del primo tempo la Juventus è sembrata giustamente in vantaggio, nella ripresa è stata spazzata via.
Il merito di tutto ciò non può che essere di una sola persona: Antonio Conte. Ha raccolto un Napoli che ha concluso l'ultimo campionato al decimo posto, a -18 dalla Juventus, e l'ha portato (per ora) a +16 sui bianconeri. Ha preso una squadra che poco ha a che vedere con quella dello Scudetto e l'ha ricostruita. Con innesti nuovi, rigenerando chi già c'era. Perché Conte ha ragione quando dice che questa squadra rispetto a quella del Tricolore non ha poi troppi punti in comune. Innanzitutto ha perso i tre volti più rappresentativi: Kim min-jae, Victor Osimhen e (a metà stagione) Khvikha Kvaratskhelia. Ma nel frattempo ha salutato anche Zielinski, Mario Rui, Elmas e Lozano.
Questo è un nuovo Napoli. Una società che in estate ha speso per far decollare il rapporto col suo nuovo esigente allenatore ma anche investito. Soprattutto ha saputo scegliere. Ha trovato un Conte voglioso di dimostrare di essere ancora il migliore allenatore italiano su piazza dopo l'avventura al Tottenham che aveva minato questa certezza.
I quindici mesi di stop forzato sono serviti allo stesso Conte per ripensarsi, per rilanciarsi. Per ricostruire una immagine di sé più matura ma non per questo meno determinata. Dopo la cessione di Kvara al PSG e senza la certezza di un sostituto che a questo punto chissà se arriverà, tutti si aspettavano una sua uscita sopra le righe. Ricordate il ristorante da 100 euro con soli 10 euro in tasca? Oppure quando disse di aver sbagliato ad essersi fidato della società Inter? Ecco, a Napoli non ha detto nulla di tutto ciò. Anzi, proprio attorno a una cessione sta compattando una squadra ora più brillante che mai: non era mai capitato.
Dall'altro lato c'è la Juventus. Quella Juventus che inevitabilmente era la prima scelta di chi oggi veste a Napoli i panni di capopopolo. Antonio Conte la sua passione bianconera non l'ha mai rinnegata e quando negli scorsi mesi Giuntoli era alla ricerca di un nuovo allenatore lui era lì, in attesa. Ma dalla Juventus un'offerta a Conte non è mai arrivata perché Giuntoli era alla ricerca di un allenatore più giovane, meno ingombrante. Di un tecnico che avrebbe avallato un progetto fatto di soli giovani da allevare e crescere: l'identikit di Thiago Motta, tecnico a cui l'etichetta di nuovo santone della panchina che gli è stata troppo frettolosamente appiccicata sta tornando indietro come un boomerang.
Lo scenario è variabile. E' vero che oggi in casa bianconera vincere non è più l'unica cosa che conta, ma s'è sottovalutato il fatto che la Juventus è pur sempre la Juventus e che nel progetto di risanamento dei conti qualificarsi stabilmente in Champions è passaggio da cui non si può derogare. E purtroppo per la Juve, da qualche settimana non è più passaggio così scontato. Ieri 'L'Equipe' ha parlato di primi contatti con Xavi. Non è un caso: non vuol dire che Motta rischi, ma che un obiettivo minimo c'è. E non dovesse esser centrato ecco che pensare al piano B sarebbe inevitabile.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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