Ora che si è aggiunto ufficialmente anche il Napoli, possiamo chiedercelo ufficialmente. E’ una nuova partenza? E’ già successo, che ci fossero 3 italiane nei quarti di Champions League. 3 fra le prime 8. A guardarlo così, in questo periodo storico, sembra davvero incredibile. E forse lo è.
E’ successo 3 volte, ormai quasi 20 anni fa. Stagione 2002/03, stagione 2004/05 e poi la 2005/06. Furono sempre Juventus, Milan e Inter. Cambia una, ma la nobiltà italiana rimane quasi sempre la stessa. Ma la verità è che forse è cambiato tutto. A posto della Vecchia Signora c’è uno scugnizzo, quasi strafottente, bello e sfrontato che fa paura a tutti. E ci sono due habitué che hanno rispolverato il vecchio abito da sera e che ora provano a ricordarsi come si fa a continuare a ballare. E’ cambiato tutto anche perché nel 2003 la Champions l’Italia la dominò. Ci furono addirittura 3 italiane su 4 nelle semifinali, derby milanese in semifinale e la finale (di Manchester) fu tutta tricolore: Milan-Juve, con trionfo rossonero. Nel 2005 il derby milanese fu ai quarti di finale, solo il Milan passò il turno e arrivò in finale, perdendola (ad Istanbul) in maniera incredibile contro il Liverpool. Nel 2006 invece le italiane in finale non arrivarono: Juve e Inter si arresero a Arsenal e Villarreal, il Milan passo con il Lione ma venne fermato dal Barcellona. E la finale (a Parigi) la vinse il Barcellona.
Come vedete era un altro calcio però. Anche se non all’apice del suo splendore era comunque il calcio delle grandi sfide europee. Era la coda finale del dominio calcistico italiano in Europa. L’ultimo colpo di coda ce lo regalò l’Inter nel 2010, vincendo l’ultima Champions di una squadra italiana.
Poi il buio. In questi successivi 20 anni sono state più le volte che le italiane ai quarti di Champions non ci sono arrivate (5 volte: 08/09, 13/14, 15/16 e le ultime due stagioni). C’è stata come detto la vittoria dell’Inter del triplete, ci sono state le due finali della Juve di Allegri. Ma non c’è stata mai una presenza, se non legata ad eventi, che potesse far pensare: ecco la favorita. Negli anni precedenti le italiane partivano per vincerla la Champions. Dopo sarebbe stata una sorpresa, se fosse successo. Da 20 anni si respira il ruolo di outsider che mai come in questa stagione, nonostante la presenza sempre di grandissimi squadroni, viene recitato dal Napoli di Spalletti.
Quest’anno l’Italia ha approfittato di qualche sfida fra titani: vedi PSG-Bayern Monaco e Real-Liverpool o Borussia-Chelsea, ha approfittato di un sorteggio vagamente benevolo (posto che nessun avversario è comodo) e ha approfittato di un buon momento di forma delle sue partecipanti. Ora inizia un nuovo round, dove ancora la fortuna potrà recitare un ruolo da protagonista: dipenderà ancora dalle palline di Nyon e dallo stato di forma dell’avversario. La grande differenza con il passato è che nessuna delle italiane è partita per vincerla questa competizione, ma ora, che quasi la metà delle squadre vengono dalla nostra serie A un pensiero è giusto che ce lo facciano tutte. A prescindere dall’avversario. Visti da quaggiù sembrano tutti fortissimi, ma ognuno può incappare o in una serata storta o sembrare più grande di quello che è. Fra poche ore sapremo l’avversario.
Ma la vera domanda è: il calcio italiano è tornato grande? La risposta è no. Non ancora. Ma i risultati di questa stagione europea devono essere coltivati e saputi interpretare. Intanto per apprezzare quello che si ha. La raccolta delle figurine non sempre comporta lo stesso tipo di risultati. Costruire una squadra invece comporta avere magari meno nomi roboanti, ma più equilibri. Certo: in Europa c’è chi ha l’uno e l’altro. La qualità non deve essere per forza conclamata: può essere anche ancora non totalmente espressa. In questo Napoli e Milan hanno da insegnare. I vari giocatori scoperti e lanciati nel panorama internazionale sono la strada da seguire con competenza e efficacia (pensate a Leao, Maignan, Kvara e Osimhen), oppure la capacità che ha l’Inter di rilanciare giocatori che da altre parti erano stati messi da parte (anche per limiti di età): Darmian, Dzeko, Lukaku. Modi diversi di arrivare a un obiettivo. Sempre con l’obiettivo di costruire una squadra. E per costruire una squadra l’equilibrio non ci vuole soltanto nell’acquisizione di giocatori, ma anche lasciando che i semi del lavoro possano germogliare. Questo non significa che non si possa criticare o mettere sotto esame ma farlo con consapevolezza e senza eccessi. Non si può passare da brocchi ad eroi nel giro di 4 giorni (e vale per tutti) o nel giro di una mezza stagione (e anche qui vale per tutti). Il calcio italiano ha bisogno di un medio periodo, oggi, per essere analizzato e giudicato. Il mondo che frequentiamo invece vuole sentenze ogni 4 giorni. Forse il vero grande cambiamento sarebbe il metro di giudizio. 20 anni fa un dettaglio che faceva la differenza poteva essere sottolineato con maggiore enfasi: squadre piene di palloni d’oro, ambizioni altissime che viaggiavano di pari passo con gli stipendi. Oggi molto meno: e se anche le aspettative rimangono alte bisogna fare i conti con la realtà.
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