Il quattro maggio del duemilaventitre, Alessandro Buongiorno ha messo nei polmoni tutta l'aria granata di Superga e poi ha stretto cuore, sguardo, e alzato il tono della voce. Con orgoglio, infinito, eterno, perché quando pur non da capitano in carica del Torino ha letto i nomi dei caduti del Grande Torino, il quattro maggio del duemilaventitre, ha detto di aver "sognato questo momento tante notti prima di oggi". Oggi, trentuno agosto duemilaventitre, Alessandro Buongiorno da Torino, laureatosi nel febbraio di quest'anno in economia aziendale con una tesi sul marketing della squadra della sua vita, ha detto no. Lo ha detto col solito sguardo fiero, orgoglioso, dopo giorni di riflessioni, perché dopo sedici anni di storia granata, da quando Silvano Benedetti gli ha porto la penna per firmare il suo primo contratto, questo era un momento chiave. Lasciare il Torino, il suo Torino, per seguire legittime ambizioni, per andare a guadagnar più soldi e giocare in una squadra reduce da un'estate stellare sul mercato come l'Atalanta dei Percassi, di D'Amico e di Gasperini. Invece non ha mai accettato: ci ha pensato, ha riflettuto, mentre tutte le altre tessere stavano andando al suo posto. Mancava il suo sì. Non c'è stato.
Amore antico, nell'estate dell'Arabia
Buongiorno non ha detto no per evitare sommosse popolari. Nessuno, a Torino, ha contestato il giocatore. Nessuno lo ha additato, nessuno lo ha criticato. Ieri è stato a lungo al telefono al Filadelfia, con l'agente, con le società. Riflessioni, parole, lunghi confronti. Aveva in mente una scelta che ha avuto poi in serata la forza di gridare. Resto. E questo segna sicuramente un caso diverso da tutti gli altri 'no' che abbiamo raccontato in questa estate, anche all'Arabia Saudita. Lì si trattava di scelta di vita, l'Italia o Riad, la Francia o Jeddah, e tutto quel che c'è di differente tra clima, cibo, cultura, famiglia. Per Buongiorno è stata una storia d'infanzia, cuore, sangue, amore. Ha detto no facendo rinunce importanti, economiche e stanti gli attuali status di Atalanta e Torino, anche di ambizioni europee.
L'ambizione dell'Atalanta, il lavoro dell'entourage, la decisione di Cairo
Il gesto d'amore di Buongiorno non deve però spostare il giudizio sul lavoro delle altre tre componenti in gioco. Puntare su un ragazzo con questi valori, sul campo e fuori dal terreno di gioco, sulle sue potenzialità e sulla sua prospettiva, dimostra ancora una volta la lungimiranza di una proprietà e di una dirigenza come quella dell'Atalanta. Aveva l'accordo economico con tutte le parti, al cuor non si comanda ma che dire alla Dea che in questa estate è riuscita a chiudere praticamente ogni desiderio di Gasperini? Lo stesso all'entourage del giocatore: di fatto Giuseppe Riso aveva trovato gli incastri giusti ma poi, nella sera decisiva, ha capito nell'incontro di Milano con Buongiorno il desiderio di un ragazzo che ha accompagnato in tutta la carriera. E l'affare non s'è fatto, così come il grande incasso per Urbano Cairo e il Torino. E' vero che molti tifosi hanno contestato la potenziale (e già scritta) cessione di un figlio del Filadelfia, di un ragazzo granata, ma osservando la situazione dall'esterno, senza coinvolgimenti d'amore, Cairo e Vagnati avrebbero massimizzato economicamente dal percorso di Buongiorno in granata e avevano già pronti due colpi (in difesa Isak Hien dall'Hellas Verona e anche un uomo sulla trequarti). Di fatto avrebbero provato a reinvestire sul mercato, incassando ma anche spendendo. Per questo non c'è da considerare nessuno sconfitto da questa vicenda: non l'Atalanta con le sue ambizioni. Non chi segue il giocatore, che ha provato a definire al meglio i contorni economici della vicenda. Non il Torino, che senza ipocrisie aveva cercato di incassare il più possibile per poi reinvestire, accettando il corso delle cose. Vince semmai Buongiorno. Vince chi ama il calcio che non c'è più. O forse no.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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