Alessandro Bastoni, ospite di Alessandro Cattelan nel podcast Supernova, si lascia andare a una chiacchierata profonda e divertente, ripercorrendo tappe fondamentali della sua carriera e mettendo in luce anche le difficoltà incontrate agli esordi, quando era soltanto un ragazzino timido nelle giovanili dell'Atalanta. Un racconto sincero, che passa da Gasperini al timore del nonnismo e che mostra il lato umano di uno dei difensori più talentuosi del calcio italiano. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com
Com'è stato il tuo esordio con l'Atalanta in Serie A? Ti aspettavi di giocare di più con Gasperini?
«Il mio esordio in Serie A lo devo proprio a Gasperini, vincemmo 1-0 contro la Sampdoria dove c’erano giocatori importanti come Muriel e Skriniar. Però, dopo quella partita, non ho più visto il campo. Mi ha lanciato lì, e io avevo appena 17 anni, quindi non ho potuto ovviamente chiedere spiegazioni. Non ho mai realmente capito il motivo di quella scelta. Credo che quando giochi nella squadra dove hai fatto tutte le giovanili sia difficile essere visto come un giocatore già pronto: rimani sempre “il ragazzo” cresciuto nel vivaio. Quindi lasciare Bergamo per andare a Parma è stato per me fondamentale, quasi una salvezza».
Cambiare squadra così giovane ti ha spaventato o motivato?
«Onestamente non ero spaventato. Il passaggio dall’Atalanta al Parma non era così traumatico, non avevo aspettative enormi, ero semplicemente un ragazzo con tanta voglia di dimostrare il proprio valore. D’Aversa mi ha dato fiducia, l’ho ripagata con buone prestazioni e da lì è arrivata la chiamata dell’Inter. Ricordo che feci una vera e propria battaglia per restare a Milano, nonostante davanti avessi difensori fortissimi come Godin e Skriniar. Conte mi disse di rimanere e così ho fatto, riuscendo poi a conquistare il mio spazio».
Hai raccontato che agli inizi, durante un allenamento all'Atalanta, hai rischiato grosso per un tunnel a un compagno più esperto. Cos'era successo esattamente?
«A quei tempi c’era ancora una mentalità di nonnismo piuttosto forte. Ricordo un episodio in allenamento con giocatori come Stendardo, Masiello e Zukanovic. Feci un tunnel a un compagno più esperto e rischiai grosso, tanto che dovetti praticamente scappare via dal campo per
non prendere le botte. È una cosa che ricordo ancora chiaramente. Personalmente non trovo giusto questo atteggiamento: se un ragazzo giovane ti fa un tunnel, devi fargli i complimenti, non minacciarlo».
Pensi che nel calcio di oggi, soprattutto a livello giovanile, ci siano meno difficoltà di questo tipo?
«Sì, credo che la mentalità sia cambiata molto. Ora non c’è più quel tipo di nonnismo che io stesso ho visto quando ero giovanissimo. I ragazzi oggi sono molto più preparati, hanno già un procuratore, sono già “aziende”. Io ho fatto tutta la trafila giovanile nell’Atalanta dai 7 ai 19 anni, ho fatto il raccattapalle e ho vissuto anche la Serie B. Era sicuramente un percorso diverso rispetto a quello dei giovani calciatori attuali, che oggi arrivano in prima squadra con molta più facilità».
Alessandro Bastoni, con il suo racconto genuino e diretto, apre una finestra su un calcio meno visibile e molto umano. Le sue parole mostrano chiaramente come le difficoltà e le sfide affrontate a Bergamo siano state fondamentali per forgiare il giocatore e l'uomo che oggi vediamo titolare inamovibile dell'Inter e punto fermo della Nazionale. Una storia di crescita personale, coraggio e consapevolezza, che parte proprio dai campi di Zingonia e arriva ai vertici del calcio europeo. Bastoni è la prova che, dietro ai grandi campioni, spesso c'è una storia fatta di sacrifici, resilienza e una buona dose di coraggio.
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Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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