È un’analisi lucida, diretta e priva di filtri quella offerta da Michele Criscitiello. Nel corso della nona puntata di Cose Scomode sul canale YouTube Aura Sport, il direttore di Sportitalia e presidente della Folgore Caratese ha dissezionato le attuali contraddizioni del movimento calcistico italiano. Partendo dall'esperienza diretta sul campo in Serie D, Criscitiello ha tracciato un parallelo impietoso tra le categorie, mettendo in discussione l'efficacia dei progetti U23 — con riferimenti specifici ai gioielli dell'Atalanta — e lanciando un appello per il ritorno a vecchie formule di mercato, considerate vitali per la sostenibilità dei club. Un intervento che scuote le fondamenta della gestione federale e apre un dibattito necessario sul futuro dei nostri vivai. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com:
IL PARADOSSO TATTICO: DALLA SERIE A ALLA D - Partiamo dal campo. Lei vive quotidianamente la realtà della Serie D con la sua Folgore Caratese, pur frequentando i salotti della Serie A. Ci sono casi emblematici che spiegano la distanza, non solo tecnica, tra questi due mondi? «L'esempio perfetto è quello di Luca Caldirola. Parliamo di un professionista esemplare che l'anno scorso giocava titolare nel Monza in Serie A e oggi è il mio capitano in Serie D. È un caso unico: a maggio affronti i campioni della massima serie e tre mesi dopo ti ritrovi nei dilettanti. Aveva offerte importanti, anche dall'alta Serie B, ma ha fatto una scelta di vita. Eppure, le confesso un retroscena: le prime partite ha fatto una fatica immensa. Mi ha preso da parte e mi ha detto: "Pres, devo spiegarti. Io faccio i miei movimenti da Serie A, accorcio sull'attaccante, ma qui non funziona". In Serie A hai riferimenti precisi, se hai Lukaku davanti gli stai addosso perché sai che se si gira è gol. In Serie D mancano quei codici: non c'è il raddoppio sistematico, l'avversario è imprevedibile nella sua anarchia tattica. Caldirola ha dovuto capire che in D devi stare a tre metri dall'avversario, non addosso. Questo dimostra che spesso ignoriamo la complessità delle categorie inferiori, dove a volte trovi allenatori più preparati di certi nomi che circolano in A e B».
SOSTENIBILITÀ E BUDGET: I CONTI NON TORNANO - Il tema economico è sempre più centrale. Si parla di cifre esorbitanti anche tra i dilettanti e in Lega Pro. Qual è la reale dimensione dei costi per competere ai vertici e quanto c'è di vero sulle spese folli per ottenere risultati spesso deludenti? «Le cifre sono fuori controllo e variano in base alla geografia calcistica. Se vuoi vincere un Girone H o I in Serie D, devi mettere in preventivo almeno 2 milioni di euro. Al Nord, per vincere, ne servono circa 1,2 o 1,3. Io, per scelta, ho bloccato il budget tra i 500 e i 600 mila euro: che arrivi primo o decimo, quella cifra non si tocca. Ma il vero scandalo è altrove. Ci sono club che l’anno scorso hanno speso 13 milioni di euro per retrocedere dalla C alla D (Milan Futuro, ndr), una cifra che rappresenta quasi un record mondiale in negativo. E non parlo solo di casi isolati. Se guardiamo a piazze come Catania, Benevento o Avellino, i budget sono imponenti, eppure spendere non è sinonimo di vincere».
LE SECONDE SQUADRE: ANALISI DI UN FLOP? Toccando il tasto delle formazioni U23, come il Milan Futuro o l'Atalanta U23, lei ha espresso perplessità. Nonostante il talento cristallino, queste squadre faticano in classifica. È un problema di adattamento o c'è un errore strutturale nel progetto? «Il problema è il contesto. Prenda il Milan Futuro: ha una rosa che vale 7-8 milioni di euro e schiera dei 2005 e 2006 che potrebbero tranquillamente giocare in Serie B. Ma quando questi ragazzi, abituati a stadi perfetti, manti erbosi impeccabili e a un contesto quasi ovattato, si trovano a dover giocare su campi di periferia, su sintetici consumati, vanno in tilt. Tecnicamente sono superiori — contro il Chievo o contro la mia squadra lo vedi che vanno a mille all'ora — ma mancano della "cattiveria" agonistica necessaria per la categoria. Devono "switchare" mentalmente per fare la battaglia, e per loro è complicato. Ecco perché sono scettico sui progetti di Milan, Juve e Atalanta in C e D».
IL CASO ATALANTA E LA GESTIONE DEI TALENTI - Nello specifico, guardando al modello Atalanta che da sempre è un faro per i giovani, ritiene che il passaggio in Serie C con l'Under 23 sia superfluo per determinati profili? «Assolutamente sì. Guardo giocatori come Cortinovis o Vavassori dell'Atalanta e mi chiedo: cosa ci fanno in Serie C? Cortinovis mi ha sempre fatto impazzire - aggiunge Pellegatti -, Vavassori ha strappi da categoria superiore. Non sono giocatori che crescono in quel contesto, sono già pronti per stare su. Tenerli lì è un freno. Dobbiamo avere il coraggio di tornare ai vecchi metodi che funzionavano: i prestiti secchi e mirati in piazze vere. Penso a Bernardeschi al Crotone o Florenzi sempre in Calabria: valorizzavi il giocatore, arricchivi la società ospitante e la casa madre si ritrovava un campione pronto».
L'ATTACCO AL SISTEMA E LA SOLUZIONE "COMPROPRIETÀ" - Lei invoca un ritorno al passato per correggere le storture del presente. A cosa si riferisce esattamente e qual è la sua critica alla governance attuale guidata dal presidente Gravina? «Bisogna dirlo chiaramente: il signor Gravina non ha compreso le reali necessità del nostro calcio - sottolinea Criscitiello -. Hanno abolito le comproprietà e le famose buste, che non erano "bustarelle", ma lo strumento di mercato più intelligente che avevamo in Italia. La comproprietà permetteva alle squadre piccole di sopravvivere e a quelle grandi di controllare i talenti abbassando il rischio d'impresa. L'Udinese ci ha costruito un impero, il sistema girava, i soldi circondavano dalla A alla C. Oggi hanno bloccato tutto, concedendo solo il prestito tra professionisti e dilettanti come unica nota lieta recente. Se vogliamo salvare il sistema e valorizzare i giovani, dobbiamo reintrodurre le comproprietà. È l'unica via per ridare ossigeno ai club minori e senso alla crescita dei calciatori».
L'analisi di Criscitiello lascia poco spazio alle interpretazioni: il calcio italiano, nel tentativo di modernizzarsi con le seconde squadre, rischia di aver perso la sua vocazione formativa più verace, quella della "provincia" che forgiava i campioni. Tra budget dissipati e talenti intrappolati in categorie che non gli appartengono, la ricetta proposta è un drastico ritorno al pragmatismo del passato.
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Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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