Il triplice fischio finale della semifinale di andata aprirà un polverone di polemiche che nasconderanno il problema principale di questa orrenda serata di calcio: la prestazione delle due squadre, con peraltro una direzione di gara insicura e non all’altezza, che si chiude col creativo giallo a Lukaku, nell’interpretazione equivoca di un gesto che il belga aveva già mostrato in nazionale, e quindi senza alcun motivo provocatorio.
Poco male per chi si ciba della pancia della gente, con accuse che voleranno da una parte e dall’altra e vuoti dibattiti che faranno rimanere ciascuno dalla sua parte di tifo.
E il calcio italiano di cui tutti i media fingono di preoccuparsi? Sarà per un’altra volta. L’ennesimo rimando di un periodo che, salvo rarissime e nobili eccezioni, sta producendo il nulla dentro quell’involucro sempre più vuoto del nostro movimento.
Il palleggio sterile e balbettante da una parte, la copertura degli spazi con la difesa a cavallo dell’area di rigore dall’altra, nessuna giocata degna di potere essere ricordata, due reti frutto di un paio di errori: la serata delle due squadre che hanno carponato fino al novantesimo si è acceso nella solita rissa che è il moritificante spot del nostro movimento all’estero.
Allegri arrivava a questa gara dopo una buona striscia di vittorie, con una carica di positività che ha quasi auto censurato per giocare con le solite ripartenze lunghe. Che gli sono riuscite raramente e che hanno intristito prima in campo e poi in panchina il campione del Mondo, con tanto di gol in finale, Angel Di Maria, che da stasera certo non avrà ricevuto una spinta a rimanere ancora in Italia, nonostante il pensiero in queste settimane lo abbia certamente attraversato e non solo per la voglia di giocare l’ultima Copa America dopo aver vissuto ritmi di gioco europei, ma anche perché la situazione a Rosario si è fatta ogni giorno più complicata ( e l’assalto al negozio della famiglia di Antonella Roccuzzo, moglie di Leo Messi ne è ulteriore conferma).
Inzaghi ha ancora una volta esiliato in panchina i giovani della squadra (Asllani sta diventando oggetto solo dei momenti spazzatura della gara, come li chiamano in NBA), per puntare sugli uomini che palesemente sono rimasti gli unici a credere in questo progetto interista: Acerbi in mezzo alla difesa, Darmian alto a destra a incrociare le stasera rare escursioni oltre metacampo di Kostic. La Juve, non alzando la pressione, permetteva al palleggio nerazzurro di arrivare quasi al limite dell’area ma, a parte qualche imbucata per i movimenti di DImarco e Bastoni, quasi mai trovava la combinazione giusta, per arrivare davanti a Perin. Un innocuo ruminare senza spunti, leit motiv di una stagione che non ha previsto in rosa un giocatore di uno contro uno o un 10 creativo, senza contare che è una delle rare squadre senza un vero esterno d’attacco (non si capisce come possa arrivare proprio qui De Zerbi, come qualcuno ha supposto in modo abbastanza, qui sì, creativo: è forse per rosa la meno dezerbiana di tutta Europa. Ah, altro particolare: stasera il mister italiano col suo Brighton ha vinto il recupero di campionato ed è sesto in Premier…).
Il tifoso, come ha detto Bielsa, è l’unico elemento imprescindibile del calcio. Passano giocatori, allenatori e dirigenti. E stampa. Il calcio vive dei suoi tifosi: proporgli uno spettacolo all’altezza dovrebbe essere la prima preoccupazione di tutti.
Juve e Inter, in questa serata di Coppa Italia, non hanno avuto questo rispetto. C’è però ancora una gara di ritorno, per chi ancora ci crede. Ma la fede nel calcio italiano ancora una volta è stata messa a dura prova.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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