L’unica cosa positiva di tutta questa storia a tinte rossonere è che un galantuomo come Stefano Pioli avrà la possibilità di rifarsi. Dopo aver dato alla città di Firenze quello che nessun contratto avrebbe potuto prevedere - uno straordinario slancio umano per tenere la testa alta nel buio della tragedia di Davide Astori - fu allontanato con l’accusa più infamante, quella che va a intaccare l’onorabilità di un professionista; come se Firenze (che il Sommo ci perdoni la similitudine, se Può) fosse condannata in perpetuo ad ammantare di ingratitudine e ignominia chi le ha portato decoro, a guisa di contrappasso per aver scacciato da sé il suo figlio prediletto Dante.
La vita, e il calcio come sua simbologia, si tramuta e trasforma ma in qualche maniera offre sempre un’altra occasione a chi se la merita. E Pioli la meritava.
Certo, nel frattempo i tifosi milanisti potrebbero dire: “ehi, ma noi siamo il Milan, mica il banco di mutuo soccorso! Pioli è un allenatore da medio-alta classifica, che c’entra con noi? Che c’entrava Giampaolo? Che sta facendo la dirigenza?! A casaaa!”
Forse. Sicuramente ci sono delle ragioni. Ma forse quella più importante e grande non è mai stata detta, chiarita, o infine proclamata. Ed è da quella che deve ripartire non tanto il Milan in sé (che all’interno conosce la realtà) quanto il mondo Milan, cioè i milanisti.
Ovvero: il Milan di fatto E’ una squadra di medio-alta classifica. Il Milan è una squadra da sesto posto. Quello è il budget, quelle sono le spese, quello è il tipo di rosa costruita, tanto negli acquisti azzeccati quanto in quelli misteriosi se non addirittura sbagliati. Quella è la dimensione del Milan sulla carta: i 64 punti da sesto posto. E a poco vale dire che l’anno scorso Gattuso sfiorò la Champions: ricordatevi che fu grazie all’implosione contemporanea dell’Inter, che forò da sola le gomme della bici del suo capitano Icardi, e anziché proseguire la fuga, rimase sui pedali ad aspettare il Milan per la volata; e fu anche grazie alla solita primavera di follia romana, con esonero in corsa e clima da tutti contro tutti.
Senza quei due semi-suicidi, il Milan non si sarebbe avvicinato alla speranza Champions.
E dunque quella è la dimensione del Milan: sesto posto. E in quell’ottica, alla fine sul piano dei punti Giampaolo non stava facendo malaccio, mancandogli da ruolino solo i 3 della partita in casa con la Fiorentina.
Certo, il gioco di Giampaolo non c’è davvero mai stato: la squadra peggiore del campionato sul piano del rendimento, con evidenti errore tattici e tecnici dell’allenatore nelle ultime tre partite, che sono sembrate un lungo addio del mister in rotta con la società. Normalmente, cambiare un allenatore così presto in una squadra simile non è mai una buona idea (Giampaolo è l’allenatore non ad interim rimasto meno in carica nella storia del Milan! Solo 7 giornate, battendo il record di Terim nel 2001 di 9 giornate).
In questo caso, l’esonero, ancorché arrivato dopo una vittoria, è giustificato dal fatto che non ci fosse più la fiducia nell’uomo: e allora inutile continuare a tirarla in lungo se la società non supporta.
La questione è a monte: perché prendere un allenatore come Giampaolo - pure lui un galantuomo, assolutamente competente, e assolutamente adatto alla dimensione di un Milan da sesto posto che vuole provare a crescere - e non concedergli il tempo giusto, e non concedergli il supporto adatto, e non condurgli un mercato aderente ai suoi desiderata? Non che dovesse essere un mercato più ricco o scintillante: ma semplicemente, più adatto.
Da quel punto di vista, Pioli sarà un Giampaolo 2: si resetta tutto, si riparte da zero, si rimette indietro l’orologio a tre mesi fa, l’inizio del lavoro di Giampaolo. Non valeva la pena essere più chiari, e più organici rispetto all’uomo scelto?
Ne esce malissimo il duopolio Maldini-Boban: la scelta dell’esonero non spettava a loro, e infatti Maldini era andato con disinvoltura a confermare Giampaolo urbi et orbi, salvo poi doversi rimangiare la parola. Proprio il duopolio blasonato, rispettato e amato da tutti, ha dimostrato però tutta l’inesperienza non solo nelle scelte, ma anche nella abilità di fare quadrato, di essere un sol uomo con il corpo tecnico.
La presenza contemporanea in loco tanto di Singer jr nei passati giorni, quanto di Gazidis, hanno portato alla decisione del rimpiazzo, volata sopra le teste di Maldini e Boban, e che anzi adesso fanno leggermente sbilanciare verso il croato gli equilibri di fiducia da parte della proprietà.
Proprietà che in principio aveva autorizzato l’esborso per Spalletti, il fuori budget per garantirsi un tecnico da podio: accordo per 4.5 milioni di € all’anno, c’era da rifinire una mezza milionata in base ai bonus, ma c’era il sì del tecnico e la possibilità di andare avanti.
Accordo che si è arenato perché Spalletti, con nessuna fretta di tornare in panchina, ha chiesto niente più e niente meno di 6 milioni di € di buonuscita all’Inter, la quale ha risposto che la proprio controproposta sarebbe stata 1.5 milioni di € intrattabili. Quattro milioni e mezzo di €, che forse il Milan avrebbe dovuto pagare (e che sicuramente l’Inter non avrebbe versato per facilitare i rivali cittadini, e magari rischiare di mettersi dall’altro lato del Naviglio l’orgoglio furioso del vate di Certaldo).
Un epilogo prevedibile, se si conoscono gli attori in campo, a cominciare dalle capacità negoziali di Marotta, fino alla fermezza economica di Spalletti.
Un ulteriore passo falso e d’immagine per la società Milan.
Che deve capire una cosa, se vuole uscirne: il Milan è in mezzo a una traversata nel deserto.
Tipo quella che compì l’Inter dal 2013 al 2016 con la proprietà Thohir, una proprietà che era venuta a risanare i conti per poterci fare soldi sulla rivendita. Caratteristica tipica degli affari di Thohir - e guarda caso, caratteristica tipica da sempre del fondo Elliot. Questa è la dimensione del Milan adesso.
Prima si affronta la notte con il giusto stato d’animo, prima si tornerà a riveder le stelle
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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